Nel 2016 oltre duecento omicidi di attivisti ambientali nel mondo, i dati in un rapporto di Global Witness

Anno nero per la giustizia ambientale. Quasi quattro persone impegnate nella difesa dell’ambiente alla settimana sono state assassinate nel 2016 nel mondo, lo denuncia un rapporto di Global Witness che evidenzia una crescita netta del fenomeno e una sua diffusione sempre più estesa, con 24 paesi coinvolti rispetto ai 16 segnalati nel 2015.

Quasi quattro persone alla settimana sono state assassinate nel 2016, perché difendevano le loro foreste, i loro orti o i loro fiumi dalle compagnie dello sfruttamento forestale, minerario o agricolo. E’ quanto denuncia un rapporto di Global Witness pubblicato il 17 luglio 2017. Oltre 200 persone sono state uccise nel 2016, con una crescita netta del fenomeno (rispetto alle 185 dell’anno recedente) e una diffusione sempre più estesa, con 24 paesi coinvolti, rispetto ai 16 segnalati nel 2015. Il rapporto riferisce la triplicazione degli omicidi in India, dove la brutalità della polizia è il principale fattore. L’America Latina resta la regione più colpita, con il 60% degli omicidi.

La difficoltà nel reperire informazione lascia però sospettare che il vero reale degli omicidi sia ben più alto. L’omicidio è solo la punta dell’iceberg di una ben più vasta serie di metodologie utilizzate per mettere a tacere i difensori delle terre comuni, dalle minacce di morte, agli arresti, alle violenze sessuali, ai rapimenti e alle azioni legali aggressive.

Quasi il 40% degli omicidi è ai danni di indigeni, poiché la terra che hanno abitato per generazioni è stata rubata da imprese, latifondisti o da consorzi statali. Progetti vengono imposti alle comunità senza chiedere loro consenso e i lavori impiegati arrivano accompagnati da polizia ed esercito. Questi ultimi sono responsabili di almeno 43 omicidi. Le proteste sono spesso l’unica opzione rimasta alle comunità per proteggere il loro ambiente.

Il rapporto evidenzia in particolare che:
– Lo sfruttamento minerario è l’attività più cruenta, con almeno 33 omicidi legati al settore. Gli omicidi legati allo sfruttamento del legname sono in crescita e passano da 15 a 23 nel giro di in un anno; 23 sono gli omicidi legati a progetti agro-alimentari.
– Il Brasile resta il paese più coinvolto in omicidi (49) con il Nicaragua al secondo posto (11). L’Honduras mantiene il suo status di luogo più pericoloso negli ultimi dieci anni (127 omicidi dal 2007).
– Gli omicidi segnano il massimo storico in Colombia (37), soprattutto nelle aree in precedenza sotto il controllo della guerriglia dove cresce la presenza di aziende estrattive e paramilitari. Le comunità che ritornano ai loro villaggi vengono attaccate quando tentano di recuperare i terreni abbandonati durante il conflitto.
– L’India ha vede triplicare gli omicidi a causa della brutalità della polizia e la repressione colpisce in molti casi proteste pacifiche. Il 2016 ha visto 16 omicidi legati a progetti minerari.
– La protezione dei parchi nazionali è sempre più rischiosa, con un gran numero di rangers uccisi in Africa (9 omicidi di rangers solo nella Repubblica Democratica del Congo nel 2016).
– Il settore minerario delle Filippine, primeggia in Asia, con 28 omicidi.

La relazione rileva la crescente criminalizzazione degli attivisti in tutto il mondo, anche negli Stati Uniti: sempre più spesso sono spesso presentati come criminali, e devono far fronte a pretestuose e aggressive cause legali o civili aggressivi da parte di governi o aziende che cercano di metterli a tacere.

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