A riscontro del quesito proposto, va preliminarmente osservato che lart. 230-bis del codice civile, introdotto dalla riforma del diritto di famiglia (legge n. 151/1975), configura limpresa familiare come lattività economica alla quale collaborano, in modo continuativo, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo, qualora non sia configurabile un diverso rapporto.
La configurazione di tale impresa ha, dunque, carattere residuale atteso che sussiste soltanto quando le parti (i familiari) non abbiano inteso dar vita ad un diverso qualificato rapporto (società di fatto, rapporto di lavoro subordinato, ecc.).
Allimpresa familiare si applicherà quanto previsto dallart. 21 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e successive modifiche o integrazioni, anche noto come Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, mentre laddove i componenti dellimpresa assumano la veste di lavoratori, così come definiti dallart. 2, comma 1, lett. a) del T.U., con un vero e proprio rapporto di subordinazione, al titolare dellimpresa familiare, nella sua qualità di datore di lavoro e garante rispetto agli altri componenti, faranno capo gli obblighi di adottare tutte le misure di tutela della salute e sicurezza sul lavoro di cui al T.U. fra i quali lobbligo della valutazione dei rischi, della redazione del documento di valutazione dei rischi o dellautocertificazione, della nomina del medico competente, della formazione ed informazione dei componenti, della sorveglianza sanitaria, ecc.
In tali ipotesi, non si configura disparità alcuna di trattamento atteso che nel caso di impresa familiare il titolare della stessa non verrà ad assumere la veste di datore di lavoro e, pertanto, non soggiacerà a tutti gli obblighi previsti dal T.U. in materia
(Red)