Il sensibile aumento della povertà tra la popolazione in età lavorativa è una delle conseguenze sociali più tangibili della crisi economica. Una tra le problematiche emerse all’interno del rapporto 2013 su occupazione e sviluppi sociali in Europa.
Una delle conseguenze sociali più importanti della crisi economica è identificabile nel sensibile aumento della povertà tra la popolazione in età lavorativa. Se si dovesse confermare la polarizzazione delle retribuzioni, dovuta in particolare all’aumento del lavoro a tempo parziale, una riduzione graduale dei livelli di disoccupazione potrebbe non essere sufficiente ad invertire la tendenza. È questa una delle principali conclusioni del rapporto 2013 su occupazione e sviluppi sociali in Europa, che esamina anche l’impatto positivo delle prestazioni sociali sulla probabilità di ritorno al lavoro, le conseguenze dei persistenti squilibri di genere e la dimensione sociale dell’Unione economica e monetaria (UEM).
Il rapporto dimostra che l’accettazione di un posto di lavoro può aiutare a uscire dalla povertà, ma solo nella metà dei casi: molto dipende dal tipo di lavoro trovato e dalla composizione del nucleo familiare e dalla situazione del partner sul mercato del lavoro.
“Per una ripresa duratura, che non si limiti soltanto a ridurre la disoccupazione ma faccia anche diminuire la povertà, dobbiamo preoccuparci non solo della creazione di posti di lavoro, ma anche della loro qualità”, ha dichiarato László Andor, Commissario per l’Occupazione, gli affari sociali e l’integrazione.
Il rapporto presenta anche alcuni dati interessanti sulla situazione dell’Italia, dove la percentuale della popolazione a rischio povertà o esclusione sociale è passata dal 25,9% del 2006 al 29,9% del 2012. Prendendo in considerazione la sola popolazione femminile, la percentuale sale al 31,7%.
Nel nostro paese l’11,1% della popolazione attiva risulta essere a rischio povertà pur essendo occupata. Passa inoltre dal 6,3% (2006) al 14,9% (2012) la percentuale di popolazione che si trova in situazioni di grave disagio e di difficoltà personali o familiari, così come risulta in aumento il numero di persone che non studiano e non lavorano (NEET – Not in Education, Employment, or Training), giunto nel 2012 al 21,1%.
Impatto positivo delle prestazioni sociali e delle indennità di disoccupazione
L’analisi condotta nel rapporto dimostra che, contrariamente a quanto comunemente ritenuto, i beneficiari di prestazioni di disoccupazione hanno maggiori probabilità di trovare lavoro rispetto a coloro che non ne percepiscono (a parità delle altre condizioni). Ciò vale in particolare nel caso in cui i sistemi di prestazioni siano ben congegnati (prevedano, ad esempio, prestazioni decrescenti nel tempo) e siano integrati da opportune condizioni, come l’obbligo di cercare un lavoro. Questi sistemi tendono a favorire una migliore rispondenza tra le professionalità richieste e le competenze e quindi l’occupazione di posti di lavoro di maggiore qualità, aspetto che contribuisce a sua volta all’uscita dalla povertà.
Il rapporto sottolinea inoltre che in alcuni paesi (ad esempio Polonia e Bulgaria) una percentuale significativa dei disoccupati non dispone delle comuni reti di sicurezza (prestazioni di disoccupazione, assistenza sociale) e tende a fare affidamento sulla solidarietà familiare o su un’occupazione informale. I disoccupati che non percepiscono prestazioni di disoccupazione hanno minori probabilità di trovare un lavoro in quanto è meno probabile che beneficino di misure di attivazione e non hanno l’obbligo di cercare un lavoro per beneficiare delle prestazioni.
Il rapporto dimostra che l’accettazione di un posto di lavoro può aiutare a uscire dalla povertà, ma solo nella metà dei casi: molto dipende dal tipo di lavoro trovato e dalla composizione del nucleo familiare e dalla situazione del partner sul mercato del lavoro.
“Per una ripresa duratura, che non si limiti soltanto a ridurre la disoccupazione ma faccia anche diminuire la povertà, dobbiamo preoccuparci non solo della creazione di posti di lavoro, ma anche della loro qualità”, ha dichiarato László Andor, Commissario per l’Occupazione, gli affari sociali e l’integrazione.
Il rapporto presenta anche alcuni dati interessanti sulla situazione dell’Italia, dove la percentuale della popolazione a rischio povertà o esclusione sociale è passata dal 25,9% del 2006 al 29,9% del 2012. Prendendo in considerazione la sola popolazione femminile, la percentuale sale al 31,7%.
Nel nostro paese l’11,1% della popolazione attiva risulta essere a rischio povertà pur essendo occupata. Passa inoltre dal 6,3% (2006) al 14,9% (2012) la percentuale di popolazione che si trova in situazioni di grave disagio e di difficoltà personali o familiari, così come risulta in aumento il numero di persone che non studiano e non lavorano (NEET – Not in Education, Employment, or Training), giunto nel 2012 al 21,1%.
Impatto positivo delle prestazioni sociali e delle indennità di disoccupazione
L’analisi condotta nel rapporto dimostra che, contrariamente a quanto comunemente ritenuto, i beneficiari di prestazioni di disoccupazione hanno maggiori probabilità di trovare lavoro rispetto a coloro che non ne percepiscono (a parità delle altre condizioni). Ciò vale in particolare nel caso in cui i sistemi di prestazioni siano ben congegnati (prevedano, ad esempio, prestazioni decrescenti nel tempo) e siano integrati da opportune condizioni, come l’obbligo di cercare un lavoro. Questi sistemi tendono a favorire una migliore rispondenza tra le professionalità richieste e le competenze e quindi l’occupazione di posti di lavoro di maggiore qualità, aspetto che contribuisce a sua volta all’uscita dalla povertà.
Il rapporto sottolinea inoltre che in alcuni paesi (ad esempio Polonia e Bulgaria) una percentuale significativa dei disoccupati non dispone delle comuni reti di sicurezza (prestazioni di disoccupazione, assistenza sociale) e tende a fare affidamento sulla solidarietà familiare o su un’occupazione informale. I disoccupati che non percepiscono prestazioni di disoccupazione hanno minori probabilità di trovare un lavoro in quanto è meno probabile che beneficino di misure di attivazione e non hanno l’obbligo di cercare un lavoro per beneficiare delle prestazioni.
Fonte: Commissione Europea
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