Alla battute conclusive il processo d’appello contro i vertici della multinazionale dell’amianto per i quali il pm chide la conferma a 20 anni di carcere
di SARAH MARTINENGHI
Sarà pronunciata con ogni probabilità il 3 giugno la sentenza d’appello per le oltre due mila vittime dell’Eternit, che hanno contratto mesoteliomi e altre malattie correlate alle fibre tossiche dell’amianto.
Il processo è entrato nella fase conclusiva dedicata alle repliche della procura e alle controrepliche della difesa dei due imputati.
Il procuratore Raffaele Guariniello, che porta avanti l’accusa insieme ai colleghi Ennio Tomaselli, Sara Panelli e Gianfranco Colace, ha chiuso il suo intervento ribadendo la richiesta di condanna a 20 anni di carcere per lo svizzero Stephan Schmidheiny e il belga Louis De Cartier.
Nel suo discorso, pronunciato sulla solida base delle sentenze di Cassazione, Guariniello ha tracciato un parallelo con il caso dell’Ilva di Taranto e ha sottolineato che la Suprema corte parla di “pervicacia e spregiudicatezza“ degli imputati.
Il magistrato ha evocato in aula l’ordinanza con cui la Cassazione il 4 aprile scorso ha respinto il ricorso contro gli ordini di custodia cautelare: “i reati di disastro e rimozione volontaria di cautele, gli stessi che contestiamo noi, sono ascrivibili a condotte tenute negli anni, si sono consumati anche con la gestione successiva al 1995 e i loro effetti sono ancora attuali”.
“Mi ci è voluto del tempo – ha concluso il magistrato – per capire che non era giusto addebitare il disastro Eternit ai dirigenti italiani degli stabilimenti.
Schmidheiny è stato bravo a nascondersi in tutti questi anni. Ma grazie anche ai parenti delle vittime ho potuto individuare la strada da prendere: dietro a questo immane disastro c’erano delle scelte strategiche prese dal vertice.
C’era un’unica regia”.
Secondo il pm, per evitare il disastro, gli imputati avrebbero dovuto evitare di esporre i lavoratori in modo continuato all’amianto, fornire loro strumenti di protezione adeguati, e soprattutto informare, sia gli operai che gli abitanti, dei rischi connessi all’esposizione.
Invece, manufatti e polverino venivano lavorati, venduti e utilizzati senza alcuna indicazione di pericolosità.
(13 maggio 2013)