Con la sentenza n. 20560 del 31 maggio 2010, la Sesta Sezione Penale della Cassazione si è pronunciata in merito ai criteri posti dall’art. 14 D.Lgs. 231/2001 in materia di scelta delle sanzioni interdittive da comminare all’ente
La Suprema Corte si è così espressa: “l’art. 45 comma 3 d.lgs. 231/2001, che disciplina l’istituto del commissario giudiziale nominato nella fase cautelare, richiama espressamente l’art. 15 d.lgs. cit., che è la norma generale a cui occorre necessariamente riferirsi. Il commissariamento giudiziale è configurato nell’art. 15 citato come una misura sostitutiva delle sanzioni interdittive, diretta ad evitare che l’accertata responsabilità dell’ente si risolva in un pregiudizio per la collettività ogni qual volta la sanzione inflitta dal giudice incida sul servizio pubblico svolto dall’ente, provocandone l’interruzione, ovvero quando l’interruzione dell’attività dell’ente, sempre per effetto della sanzione interdittiva, provochi rilevanti ripercussioni sull’occupazione: in presenza di queste distinte situazioni, da cui possono derivare conseguenze negative per il pubblico interesse, in luogo della sanzione interdittiva, idonea ad interrompere l’attività dell’ente, si prevede una sorta di espropriazione temporanea dei poteri direttivi e gestionali, che vengono assunti dal commissario nominato dal giudice, che assicura la prosecuzione dell’attività.[…] Acquista particolare rilievo, nella fase cautelare, l’indicazione dei compiti e dei poteri del commissario. Infatti, nella ordinanza con cui sostituisce la misura cautelare interdittiva, ai sensi dell’art. 45 comma 3 d.lgs. cit., il giudice è tenuto ad indicare ex art. 15 comma 2 cito i compiti e i poteri del commissario. Si tratta di indicazioni funzionali per la corretta gestione dell’ente nella delicata fase cautelare, ma che acquistano un rilievo particolare anche in relazione alla valutazione di adeguatezza della misura sostitutiva in questione, in quanto è imposto al giudice di “tenere conto della specifica attività in cui è stato posto in essere l’illecito””.
In tal senso “la “specifica attività” richiama i criteri posti dall’art. 14 d.lgs. 231/2001 in materia di scelta delle sanzioni. Il riferimento è al parametro della c.d. frazionabilità delle sanzioni interdittive, parametro che impone che tale tipologia sanzionatoria non operi in modo “generalizzato e indiscriminato”, ma si adatti, ove possibile, alla specifica attività dell’ente che è stata causa dell’illecito. Dinanzi alla forte invasività delle sanzioni interdittive nella vita dell’ente il legislatore ha voluto che il giudice tenga conto della realtà organizzativa dell’ente sia per “neutralizzare il luogo nel quale si è originato l’illecito”, sia per applicare la sanzione valorizzandone l’adeguatezza e la proporzionalità, nel rispetto del criterio dell’extrema ratio. Questi stessi criteri trovano spazio anche nella fase cautelare, le cui misure provvisorie replicano pedissequamente le sanzioni interdittive definitive. Ne consegue che anche il giudice della cautela è tenuto a valutare l’incidenza della misura sulla specifica attività alla quale si riferisce l’illecito dell’ente, applicando i criteri di cui all’art. 14 citato e, quindi, limitando, ove possibile, la misura solo ad alcuni settori dell’attività dell’ente. Ovviamente, si tratta di una valutazione che I deve essere fatta anche nel caso in cui si provveda alla sostituzione della misura interdittiva con la nomina del commissario giudiziale”.
Nella fattispecie, invece, “il Tribunale -e prima ancora il g.i.p. -non ha indicato i compiti e i poteri del commissario; inoltre, ha escluso la possibilità di limitare il campo di operatività della misura disposta -poi sostituita con la nomina del commissario -, ritenendo la limitazione non praticabile per la mancanza di una diversificazione delle attività della società. Invero, la valutazione sulla frazionabilità della misura non è condizionata dalla differenziazione dell’attività dell’impresa, come sembra ritenere il Tribunale, in quanto anche ad un ente che svolge un’unica attività può essere applicata una misura limitata solo ad una parte dell’attività stessa”.
In tal senso “la “specifica attività” richiama i criteri posti dall’art. 14 d.lgs. 231/2001 in materia di scelta delle sanzioni. Il riferimento è al parametro della c.d. frazionabilità delle sanzioni interdittive, parametro che impone che tale tipologia sanzionatoria non operi in modo “generalizzato e indiscriminato”, ma si adatti, ove possibile, alla specifica attività dell’ente che è stata causa dell’illecito. Dinanzi alla forte invasività delle sanzioni interdittive nella vita dell’ente il legislatore ha voluto che il giudice tenga conto della realtà organizzativa dell’ente sia per “neutralizzare il luogo nel quale si è originato l’illecito”, sia per applicare la sanzione valorizzandone l’adeguatezza e la proporzionalità, nel rispetto del criterio dell’extrema ratio. Questi stessi criteri trovano spazio anche nella fase cautelare, le cui misure provvisorie replicano pedissequamente le sanzioni interdittive definitive. Ne consegue che anche il giudice della cautela è tenuto a valutare l’incidenza della misura sulla specifica attività alla quale si riferisce l’illecito dell’ente, applicando i criteri di cui all’art. 14 citato e, quindi, limitando, ove possibile, la misura solo ad alcuni settori dell’attività dell’ente. Ovviamente, si tratta di una valutazione che I deve essere fatta anche nel caso in cui si provveda alla sostituzione della misura interdittiva con la nomina del commissario giudiziale”.
Nella fattispecie, invece, “il Tribunale -e prima ancora il g.i.p. -non ha indicato i compiti e i poteri del commissario; inoltre, ha escluso la possibilità di limitare il campo di operatività della misura disposta -poi sostituita con la nomina del commissario -, ritenendo la limitazione non praticabile per la mancanza di una diversificazione delle attività della società. Invero, la valutazione sulla frazionabilità della misura non è condizionata dalla differenziazione dell’attività dell’impresa, come sembra ritenere il Tribunale, in quanto anche ad un ente che svolge un’unica attività può essere applicata una misura limitata solo ad una parte dell’attività stessa”.
AG
Fonte: Corte di Cassazione