Il controllo dei rischi professionali, che si articola in un insieme coordinato di attività di valutazione, sorveglianza, formazione e verifica, deve comprendere, secondo la modifica dell art. 4 comma 1c del D.Lgs 626/94, introdotta in seguito al pronunciamento della Corte di Giustizia Europea, anche l analisi dei rischi psicosociali. Essi mostrano di fatto significative associazioni, sia con il fenomeno infortunistico, che con diverse patologie correlate al lavoro, di natura organica o psichica.
La valutazione dello stress da lavoro è un compito tuttaltro che semplice. La prima difficoltà è semantica: nel linguaggio comune il termine stress viene spesso impiegato sia per indicare le cause (lo stress professionale) che le conseguenze patologiche (essere stressati). Nel primo caso, sarà più corretto parlare di fattori di stress o, con maggiore precisione, di fattori di strani, agenti cioè capaci di mettere sotto pressione l individuo. L evento patologico (lo stress) potrà verificarsi solo dopo il superamento delle capacità di opporsi all agente di rischio. In tale processo intervengono fattori modulanti, che possono aumentare o diminuire gli effetti.
La decisione di misurare uno o più fattori stressanti e modulanti e alcune specifiche risorse dei lavoratori (capacità di coping) deriva strettamente dal modello teorico che si è adottato. Diversi modelli di stress quindi daranno origine a valutazioni diverse. Si può ben dire che misurare lo stress sia un compito stressante per chi vi accinge!
Sarà necessario tenere conto sia dei fattori causali che degli effetti finali, il che richiede l impiego di strumenti di ricerca articolati, mentre le condizioni operative entro cui si svolge l attività di medicina del lavoro esigono l impiego di questionari semplici e di rapida esecuzione. Può così accadere che si affronti un problema estremamente complesso con strumenti eccessivamente semplici.
(LG-FF)