“E’ una sentenza importantissima – commenta Domenico Leggiero, dell’Osservatorio militare -, perché coinvolge la Corte dei Conti che dovrà valutare il grave comportamento di Difesa e Comitato Verifica cause di servizio: infatti, quest’ultimo, avallando acriticamente la posizione del ministero, non riconosce il nesso causale tra esposizione all’uranio impoverito e patologie. Ciò dà vita ad una serie di ricorsi che si traducono in una spesa esorbitante per lo Stato”.
Leggiero ricorda in proposito che “abbiamo già circa 40 sentenze vinte che hanno portato a spese per lo Stato di circa 150-250 mila euro a persona. Se si pensa che, secondo i nostri dati, i militari malati sono 3.765 (330 i morti) ed un migliaio di loro hanno già seguito la via giudiziaria, si può capire il danno che ne deriverà alle casse dello Stato”.
Manfredini si è ammalato di poliadenopatia inguinale dopo aver partecipato tra il 1991 e il 2005 a numerose missioni internazionali di pace in territori dove è stato fatto uso di proiettili all’uranio impoverito (Iraq, Somalia, Bosnia, Albania). Il militare ha, quindi, chiesto il riconoscimento della causa di servizio. Ma il Comitato di verifica per le cause di servizio ha ritenuto che la malattia sviluppata dal carabiniere non poteva essere riconosciuta dipendente da causa di servizio in quanto “non risultano sussistere nel tipo di prestazioni di lavoro rese, benché impegnative, disagi e strapazzi di tale intensità, né elementi di eccezionale gravità, che abbiano potuto prevalere sui fattori individuali, almeno sotto il profilo concausale efficiente e determinante, tenuto conto della peculiare natura della patologia di cui trattasi”.
Il Tar Toscana considera “illogica e priva di ogni supporto descrittivo-motivazionale” l’affermazione del Comitato, visto come “sia la letteratura scientifica che quella giuridica hanno posto in rilievo il nesso di causalità intercorrente tra l’impiego di militari in zone di guerra caratterizzate da utilizzo di uranio impoverito e l’insorgenza di gravi patologie tumorali”. Si tratta, quindi, rincara il Tar, “di affermazione stereotipa, in quanto ripetutamente usata, con una abusata tecnica ‘a stampone’ dal medesimo Comitato in numerosissimi casi analoghi, come tale doppiamente inspiegabile e tanto più sorprendente”.
Le condizioni di impiego dei militari italiani all’estero, rilevano i magistrati, “costituiscono fattori probabilistici di causalità o concausalità, che non si possono sbrigativamente liquidare dal Comitato di verifica con formule tautologiche, astratte, libresche, ripetitive e smentite da fatti oggettivi, quali le situazioni personali del militare o il suo impiego in condizioni di elevata pericolosità, tutt’altro che ordinaria”.
Dunque, in relazione “al reiterato comportamento del Comitato”, denotante “grave negligenza”, il Tar ha trasmesso copia della sentenza al ministro dell’Economia e al capo di Gabinetto del ministro della Difesa, nonché alla procura regionale Toscana della Corte dei Conti, in relazione “al ricorrente contenzioso che il predetto comportamento del Comitato di verifica ingenera, con i conseguenti esborsi a carico dell’onorario per oneri processuali, maggiori somme per interessi e quant’altro”.