UE: inadeguatezza delle norme italiane sullo smaltimento dei rifiuti

La prima sezione della Corte di Giustizia, nella Causa C-103/02, con Sentenza del 7 ottobre 2004, ha condannato l’ Italia per essere venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 1,9,10 e 11 della direttiva 75/442/CEE e dell’ art. 3 della direttiva 91/689 in materia di smaltimento dei rifiuti.

In base alla Sentenza del 7 ottobre 2004, pronunciata dalla prima sezione della Corte di Giustizia europea nella causa C-103/02, avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’ art.226 CE, proposto il 20 marzo 2002 dalla Commissione delle Comunità europee, la Repubblica italiana è stata condannata per le norme attuative sullo smaltimento dei rifiuti, ritenute non adeguate alle direttive 75/442/CEE e 91/689/CEE.
Dopo le conclusioni dell’avvocato generale della Corte, presentate nell’udienza del 18 maggio 2004, la Repubblica italiana è stata condannata :
– 1)non avendo stabilito nel decreto 5 febbraio 1998, sull’individuazione dei rifiuti non pericolosi
sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt.31 e 33 del decreto legislativo5 febbraio 1997, n. 22, quantità massime di rifiuti, per tipo di rifiuti, che possano essere oggetto di recupero in regime di dispensa di autorizzazione, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 10 e 11, n. 1 della direttiva del Consiglio15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991,91/156/CEE;
– 2)non avendo definito con esattezza i tipi di rifiuti relativi alle norme tecniche 5.9 e 7.8 del detto decreto, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono ai sensi dell’art.11, n. 1.della direttiva75/442, come modificata, e dell’ art.3 della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991,91/689/CEE, relativi ai rifiuti pericolosi.
La Corte di Giustizia europea ha accolto due dei tre punti del ricorso presentato dalla Commissione. Secondo la Corte stessa, il decreto non solo non indica, dunque, le quantità massime di rifiuti attribuiti a ciascuna tipologia, per le quali non occorre l’autorizzazione delle autorità di vigilanza, ma manca anche di una definizione esatta dei rifiuti non pericolosi da recuperare con procedura semplificata. Le norme tecniche, inoltre, sarebbero poi citate in modo estremamente vago e i codici del catalogo europeo dei rifiuti sono omessi o citati erroneamente., con il rischio di far rientrare i rifiuti pericolosi nella categoria di quelli non pericolosi. La normativa italiana, inoltre, si limita a riferire le quantità massime di rifiuti trattabili in ragione della capacità annua di smaltimento degli impianti. Ciò contrasta con la deroga quantitativa dall’ obbligo di autorizzazione sancita per ogni tipo di rifiuto dalla direttiva 91/689/CEE. La Corte ha invece assolto l’ Italia dall’accusa di aver erroneamente considerato l’ utilizzazione di fanghi e detriti di perforazione come una operazione di recupero e non di smaltimento. Non vi sono infatti prove per ritenere che gli idrocarburi e gli oli a bassa tossicità presenti in questi materiali non possano essere utilmente recuperati.

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