Uranio impoverito: “storica” sentenza del Tribunale di Firenze

Per la prima volta la magistratura italiana ha riconosciuto il nesso di casualità tra i tumori del sistema emolinfatico e ambienti “inquinati” dall’ uranio impoverito. Con sentenza del 17 dicembre 2008 il Tribunale di Firenze ha condannato il governo italiano a pagare un risarcimento di 545mila euro ad un paracadutista che si era ammalato di un linfoma di Hodgkin dopo aver partecipato, nel 1993, alla missione Ibis in Somalia.

La sintesi della Sentenza emessa dal Tribunale di Firenze, definita “storica”, è pubblicata sul sito http://inchiestauranio.blogspot.com, Il blog sul presunto killer, a cura di Francesco Palese

Nel provvedimento giudiziario, datato 17 dicembre 2008, viene riportato il parere di un consulente tecnico che afferma l’esistenza di un nesso di casualità tra il Linfoma di Hodgkin (la malattia riportata dal militare Giambattista Mantica di Orbetello, ora in fase di “remissione definitiva”) e l’ esposizione all’uranio impoverito.
Ad avviso dell’esperto designato dal Tribunale, le conclusioni dell’indagine scientifica compiuta dalla Commissione Mandelli, secondo cui tale nesso non può essere accertato, perché “sono destituite di fondamento per l’ erronea procedura di ricerca utilizzata”.
Il Tribunale di Firenze ha dunque condannato il ministero della Difesa per non aver disposto l’adozione di adeguate misure protettive per i partecipanti alla missione in Somalia, nonostante “fosse sotto gli occhi dell’opinione pubblica internazionale – riporta la sentenza – la pericolosità specifica di quel teatro di guerra, sotto il profilo eziopatogenico che qui interessa, e nonostante l’adozione da parte di altri contingenti di misure di prevenzione particolari”.
Secondo i giudici fiorentini, “al di là delle raccomandazioni che erano o dovevano essere note al ministero, il fatto che ai militari americani fosse imposta l’adozione di particolari protezioni, anche in mancanza di ulteriori conoscenze, “doveva allertare le autorità italiane”.
C’è stato, dunque, “un atteggiamento non ispirato ai principi di cautela e responsabilità da parte del ministero della Difesa, consistito nell’aver ignorato le informazioni in suo possesso, già da lungo tempo, circa la presenza di uranio impoverito nelle aree interessate dalla missione e i pericoli per la salute dei soldati collegati all’ utilizzo di tale metallo; nel non aver impiegato tutte le misure necessarie per tutelare la salute dei soldati collegati all’utilizzo di tale metallo; nel non aver impiegato tutte le misure necessarie per tutelare la salute dei propri militari e nell’aver ignorato le cautele adottate da altri Paesi impegnati nella stessa missione, nonostante l’adozione di tali misure di prevenzione fosse stata più volte segnalata dai militari italiani”.
“Marica denunciò subito il fatto che i militari USA in Somalia, anche a 40 gradi all’ombra, operavano con tute, maschere, guanti e occhiali, mentre i soldati italiani erano in calzoncini corti e canottiera”, afferma Falco Accame, che parla di sentenza storica e ricorda che “i reparti italiani non seppero del pericolo che il 22 novembre 1999, quando apparvero le norme di protezione destinate ai militari nei Balcani”.
Sul numero delle vittime, sottolinea Accame, l’incertezza è ancora totale: si oscilla, a seconda delle rilevazioni, tra i 77 e i 160 morti, e tra i 312 e i 2.500 malati.
Sul problema dell’uso delle munizioni ad uranio impoverito, ci sembra opportuno riportare nel link il Dossier Uranio impoverito redatto da Francesco Palese, direttore responsabile del sito http://inchiestauranio.blogspot.com, dove si pone l’interrogativo se anche in Libano è stato usato o no l’uranio, riferendosi ad una audizione dell’ ex Ministro della Difesa Arturo Parisi.

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