Veicoli fuori uso, da rifiuto a risorsa nel report “Il contributo dei frantumatori all’economia circolare”

I rottami dei Veicoli Fuori Uso (VFU) provenienti dagli impianti di demolizione possono contribuire all’attuazione di un’economia circolare se vengono immessi in un processo integrato e condiviso tra soggetti privati e pubblici.

È stato presentato il Report dell’Associazione Industriale Riciclatori di Auto (AIRA) per l’annualità 2018 “Il contributo dei frantumatori all’economia circolare”, contenente alcune possibili indicazioni per poter partecipare attivamente alla realizzazione di un’economia circolare.

Le stime confermano che i Veicoli Fuori Uso (VFU) ogni anno conferiti presso gli impianti di smaltimento superano la quota di 1.000.000 di tonnellate. Il D.Lgs. n. 209 del 24.06.2003 prevedeva di raggiungere almeno l’85% di reimpiego e riciclaggio ed il 95% di reimpiego e recupero complessivo sul totale dei VFU asseverati come rifiuto.

Rispetto ai limiti sopra indicati, l’Italia deve individuare delle soluzioni se intende soddisfarli, considerato che nel 2015 il nostro Paese ha raggiunto l’84,6% di reimpiego e riciclaggio e l’84,7% di reimpiego e recupero, mentre nel 2016 tali valori hanno registrato un’ulteriore diminuzione attestandosi rispettivamente ad un 82,5 di reimpiego e riciclaggio ed 82,6 di reimpiego e recupero. Le cifre indicano che se nel settore del riciclo dei Veicoli Fuori Uso (VFU) l’Italia vuole migliorare le sue prestazioni deve individuare le criticità per apportare dei miglioramenti nelle fasi di processo di reimpiego, riciclaggio e recupero, concetti, questi, fondamentali dell’economia circolare.

Già oggi sono operative le procedure di riciclo per cui i veicoli fuori uso possono fornire materiale da riavviare a processi produttivi, ne sono un esempio il “proler” che è un rottame ferroso già selezionato attraverso magneti dall’alluminio, oppure il “car fluff” formato da frammenti plastici derivanti dalle plastiche delle guarnizioni, dalla cavetteria, dall’imbottitura dei sedili. Quest’ultimo, il “car fluff”, sarebbe stato individuato dalla ricerca come un combustibile solido secondario (CSS) ottenuto da plastiche, carta e fibre tessili il cui impiego sarebbe adatto per impianti industriali esistenti in sostituzione ai combustibili tradizionali ma anche per gli impianti di produzione di energia elettrica. Tuttavia, proprio la composizione eterogenea di questo materiale ne rappresenta un limite e, insieme alle continue incertezze legate alla normativa sulla classificazione dei rifiuti, frena anche gli ingenti investimenti economici che sarebbero necessari per sviluppare tecnologie adatte al trattamento del “car fluff”, al fine di giungere ad un protocollo produttivo condiviso per la trasformazione in combustibile solido secondario.

Fonte: ARPAT

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