L’indagine del WWF realizzata da GfK Eurisko con la collaborazione di Auchan e Simply punta l’attenzione sul cibo buttato che comporta spreco di terra, acqua, fertilizzanti, senza contare le emissioni di gas serra.
Il rapporto del WWF predisposto anche con la collaborazione scientifica della Seconda Università di Napoli, intende quindi esplorare le dimensioni ambientali degli sprechi alimentari.
La nostra alimentazione influenza il futuro della nostra stessa sopravvivenza su questo Pianeta.
In particolare, lo spreco di cibo – oltre all’oltraggio etico e morale, oltre alle implicazioni economiche – non nutrendo nessuno non solo è inutile, ma è anche dannoso.
Con il cibo buttato vengono, infatti, sprecati anche la terra, l’acqua, i fertilizzanti- senza contare le emissioni di gas serra – che sono stati necessari per la sua produzione.
Il riscaldamento globale, la desertificazione e la perdita di biodiversità sono solo alcuni dei cambiamenti che il Pianeta sta subendo anche a causa di come si produce e consuma il cibo.
Per stimare l’impatto ambientale di un alimento è necessario considerare il suo intero “ciclo di vita”, percorrendo tutte le fasi della filiera alimentare dal “campo alla forchetta”.
Diversi studi hanno cercato di quantificare l’impronta del cibo sprecato, ma ad oggi nessuna ricerca è stata pubblicata sugli impatti nazionali degli sprechi alimentari in Italia. Questo rapporto intende fornire un primo dato nazionale delle dimensioni ambientali degli sprechi alimentari, esprimendo la pressione che la frazione di cibo sprecato ha in ogni caso generato sull’ambiente per mezzo di tre indicatori: la quantità di gas serra (GHG) emessa lungo la filiera fino a distribuzione, la quantità di acqua consumata (acqua blu) nei processi di coltivazione/allevamento e nella fase industriale e la quantità di azoto reattivo (Nr) immessa in ambiente nella fase di coltivazione/allevamento.
I tre indicatori di pressione ambientale scelti colgono tre aspetti critici dell’impatto dell’attività umana sull’ambiente. Gli impatti attesi dal primo indicatore hanno una dimensione globale, quelli relativi ai secondi due hanno dimensione altamente significativa su scala regionale e locale. Tale quantificazione è potenzialmente di interesse per una vasta gamma di soggetti, quali i consumatori, i rivenditori di generi alimentari, fornitori e produttori, le ONG, le agenzie ambientali, i governi nazionali e regionali. L’informazione può essere utilizzata in una varietà di contesti quali: identificazione degli alimenti con maggiore/minore impatto ambientale alto e basso; individuazione degli ambiti e delle modalità su cui concentrare gli sforzi per ridurre l’impatto ambientale della produzione alimentare e per migliorare la gestione delle risorse naturali italiane e non; sostegno alle attività di prevenzione degli sprechi alimentari.
Un sistema alimentare come quello odierno basato sui combustibili fossili, sui comportamenti di spreco, sull’inquinamento e il sovrasfruttamento delle risorse, che si è evoluto e radicato nelle società occidentali industrializzate, non è più un modello proponibile, né per i paesi che l’hanno creato, né per quelli che hanno cercato di imitarlo. Eppure noi continuiamo a vivere in un sistema culturale basato sul perseguimento di una continua crescita, materiale e quantitativa, e su modelli di uso delle risorse basati sul sovraconsumo, con il risultato di pesanti effetti deteriori di tipo economico, sociale ed ambientale.
Oggi abbiamo la possibilità concreta di impostare un nuovo modello alimentare ed economico che finalmente metta al centro la natura e l’essere umano e fornisca il giusto riconoscimento a un capitale di risorse che non è sostituibile, e che costituisce la base fondamentale del nostro “benessere”.