La prova in giudizio del fatto dannoso o colposo del dipendente -ad es. l’eccesso di velocità alla guida della vettura – impedisce che linfortunio possa essere ricondotto a causa di servizio e quindi qualificato come infortunio in itinere
Il Consiglio di Stato, con decisione del 20 gennaio 2006, n. 144, si pronuncia sullistanza avanzata dal padre di un militare deceduto a seguito di un incidente stradale avvenuto mentre egli, a bordo della propria vettura, stava ritornando in caserma dopo una licenza, escludendo che tale infortunio dipenda da causa di servizio in quanto avvenuto per colpa del militare (eccessiva velocità di percorrenza).
Osserva il Collegio, in linea generale, che è possibile riconoscere come dipendente da causa di servizio linfortunio di cui rimane vittima il dipendente che si rechi alla sua abitazione al termine del servizio, essendo esso ascrivibile alla categoria del c.d. infortunio in itinere. Tuttavia, precisa, il nesso di causalità tra lattività lavorativa in senso ampio e levento dannoso si interrompe ogni qualvolta questultimo sia determinato dalla stessa condotta del dipendente che abbia agito con dolo o colpa grave; in particolare, sottolinea il Collegio, è stato escluso che sussistano i presupposti del c.d. infortunio in itinere “quando dagli accertamenti dei Carabinieri risulti che la causa dellincidente occorso ad un pubblico dipendente, mentre si recava al posto di lavoro, è da attribuire alleccessiva velocità dellauto da lui guidata, nonostante che il fondo stradale fosse reso viscido dalla pioggia.
La responsabilità dellevento è da ascriversi dunque allo stesso militare deceduto, almeno a titolo di colpa, per cui è stato respinto il ricorso proposto in primo grado dal padre del militare deceduto.
Osserva il Collegio, in linea generale, che è possibile riconoscere come dipendente da causa di servizio linfortunio di cui rimane vittima il dipendente che si rechi alla sua abitazione al termine del servizio, essendo esso ascrivibile alla categoria del c.d. infortunio in itinere. Tuttavia, precisa, il nesso di causalità tra lattività lavorativa in senso ampio e levento dannoso si interrompe ogni qualvolta questultimo sia determinato dalla stessa condotta del dipendente che abbia agito con dolo o colpa grave; in particolare, sottolinea il Collegio, è stato escluso che sussistano i presupposti del c.d. infortunio in itinere “quando dagli accertamenti dei Carabinieri risulti che la causa dellincidente occorso ad un pubblico dipendente, mentre si recava al posto di lavoro, è da attribuire alleccessiva velocità dellauto da lui guidata, nonostante che il fondo stradale fosse reso viscido dalla pioggia.
La responsabilità dellevento è da ascriversi dunque allo stesso militare deceduto, almeno a titolo di colpa, per cui è stato respinto il ricorso proposto in primo grado dal padre del militare deceduto.
Fonte: Giustizia amministrativa