La Suprema Corte, Sezioni Unite Penali, con la sentenza del 2 luglio 2008 n. 26654 ha elaborato un importante principio interpretando la nozione di profitto nell’ambito della disciplina della responsabilità amministrativa dell’ente derivante da reato
Secondo la Cassazione, il profitto del reato nel sequestro preventivo funzionale alla confisca, disposto – ai sensi degli art. 19 e 53 del d. lgs. n. 231/2001 – nei confronti dellente collettivo, è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto delleffettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nellambito del rapporto sinallagmatico con lente.
Tale principio è ispirato all’idea per cui occorre “differenziare, sulla base di specifici e puntuali accertamenti, il vantaggio economico derivante direttamente dal reato (profitto confiscabile) e il corrispettivo incamerato per una prestazione lecita eseguita in favore della controparte, pur nellambito di un affare che trova la sua genesi nellillecito (profitto non confiscabile)”.
La Suprema Corte sottolinea, in tal senso, che “la genesi illecita di un rapporto giuridico, che comporta obblighi sinallagmatici destinati anche a protrarsi nel tempo, non necessariamente connota di illiceità lintera fase evolutiva del rapporto, dalla quale, invece, possono emergere spazi assolutamente leciti ed estranei allattività criminosa nella quale sono rimasti coinvolti determinati soggetti e, per essi, lente collettivo di riferimento”. Pertanto “in un appalto pubblico di opere e di servizi, pur acquisito a seguito di aggiudicazione inquinata da illiceità (nella specie truffa), lappaltatore che, nel dare esecuzione agli obblighi contrattuali comunque assunti, adempie sia pure in parte, ha diritto al relativo corrispettivo, che non può considerarsi profitto del reato, in quanto liniziativa lecitamente assunta interrompe qualsiasi collegamento causale con la condotta illecita. Il corrispettivo di una prestazione regolarmente eseguita dallobbligato ed accettata dalla controparte, che ne trae comunque una concreta utilitas, non può costituire una componente del profitto da reato, perché trova titolo legittimo nella fisiologica dinamica contrattuale e non può ritenersi sine causa o sine iure”.
Tale principio è ispirato all’idea per cui occorre “differenziare, sulla base di specifici e puntuali accertamenti, il vantaggio economico derivante direttamente dal reato (profitto confiscabile) e il corrispettivo incamerato per una prestazione lecita eseguita in favore della controparte, pur nellambito di un affare che trova la sua genesi nellillecito (profitto non confiscabile)”.
La Suprema Corte sottolinea, in tal senso, che “la genesi illecita di un rapporto giuridico, che comporta obblighi sinallagmatici destinati anche a protrarsi nel tempo, non necessariamente connota di illiceità lintera fase evolutiva del rapporto, dalla quale, invece, possono emergere spazi assolutamente leciti ed estranei allattività criminosa nella quale sono rimasti coinvolti determinati soggetti e, per essi, lente collettivo di riferimento”. Pertanto “in un appalto pubblico di opere e di servizi, pur acquisito a seguito di aggiudicazione inquinata da illiceità (nella specie truffa), lappaltatore che, nel dare esecuzione agli obblighi contrattuali comunque assunti, adempie sia pure in parte, ha diritto al relativo corrispettivo, che non può considerarsi profitto del reato, in quanto liniziativa lecitamente assunta interrompe qualsiasi collegamento causale con la condotta illecita. Il corrispettivo di una prestazione regolarmente eseguita dallobbligato ed accettata dalla controparte, che ne trae comunque una concreta utilitas, non può costituire una componente del profitto da reato, perché trova titolo legittimo nella fisiologica dinamica contrattuale e non può ritenersi sine causa o sine iure”.
AG
Fonte: Corte di Cassazione