Mobbing?: Cassazione: “SI” al risarcimento per professionalità “mortificata”

La Corte Suprema di Cassazione con Sentenza 4063/2010 ha accolto il ricorso di un impiegato amministrativo dell’INPS che dal 1996 al 1999 aveva di fatto guidato il suo ufficio per finire relegato in una stanzetta senza nemmeno il computer, riconoscendo un risarcimento per “professionalità mortificata”.

La Corte Suprema di Cassazione – Sezioni Unite Civili – con Sentenza 4063/2010 del 9 febbraio 2010 ha accolto il ricorso di un impiegato amministrativo dell’INPS che dal 1996 al 1999 aveva di fatto guidato il suo ufficio per finire relegato in una stanzetta senza nemmeno il computer, riconoscendo un risarcimento per “professionalità mortificata”.

La Sentenza della Corte Suprema di Cassazione ha stabilito che se il datore di lavoro riorganizza le sue attività, non può tenere a lungo i dipendenti a girarsi i pollici o adibendoli a mansioni nettamente inferiori e diverse da quelle rivestite prima del “restyling” organizzativo.

Altrimenti, l’inerzia nel rassegnare le competenze porterà alla causa per mobbing, con relativo diritto del dipendente frustrato a ottenere un adeguato risarcimento per il demansionamento subito.

Lo sottolinea la Cassazione con la Sentenza n. 4063/2010 delle Sezioni Unite Civili, che ha accolto il ricorso di un impiegato amministrativo dell’INPS che dal 1996 al 1999 aveva , di fatto, guidato il suo ufficio per poi finire relegato in una stanzetta senza nemmeno il computer, al termine di un piano di riassetto. In particolare, la Suprema Corte ha dato il via libera a un risarcimento da “mortificazione professionale” più sostanzioso dei quattromila euro liquidati dalla Corte di Appello di Firenze nel 2005 e posti a carico dell’INPS.

Il funzionario si era rivolto al giudice dopo essere stato costretto ad una “quasi totale inattività e al disimpegno di compiti mortificanti” tanto da essere colpito da “vari disturbi di natura psicosomatica”, che lo aveva ridotto al pensionamento.

In primo grado il Tribunale gli aveva liquidato 19mila euro, ma poi la Corte di Appello aveva tagliato di molto la somma. Adesso la Cassazione ha stabilito che spetta lui un indennizzo più alto per “la durata di reiterate situazioni di disagio professionale e personale consistite, fra l’altro, nel dover operare in un locale piccolo e fatiscente, privo di computer”, nonché per inerzia dell’amministrazione, rispetto alle accertate richieste del dipendente intese a non compromettere il patrimonio di esperienza e qualificazione professionale, che costituiva un suo primario diritto a prescindere dall’esistenza di specifiche aspettative di carriera.

(LG-Red)

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