E i responsabili del personale avevano chiuso le vie di fuga per impedire possibili furti di denaro.
La tragedia di Karachi scoperchia la realtà di un comparto senza regole, dove regna lo sfruttamento.
KARACHI – Nessun rispetto delle norme antincendio. Nessuna attenzione alle regole più elementari di prevenzione. Nessun controllo sulla regolarità degli impianti. In breve: il più assoluto “far west” sul fronte della sicurezza. I roghi delle due fabbriche di Karachi e Lahore – insieme a Faizalabad i principali poli del tessile in Pakistan – che, martedì scorso, hanno provocato la morte di oltre 320 operai hanno messo in evidenza un disastroso sistema di carenze in quella che rappresenta una delle voci principali voci nella bilancia commerciale del paese (al comparto è legato, infatti, il 67% del totale dell’export e qui viene impiegato il 38% della forza lavoro).
La connivenza delle autorità preposte ai controlli. Per capire quanto sia drammatica questa realtà basti pensare che nella stragrande maggioranza dei laboratori di produzione – come la stessa “Ali Enterprise”, nella zona industriale di Baldia Town, a Karachi, dove si è scatenato l’incendio principali che ha ucciso più di 290 persone – non è presente nemmeno un estintore. Ancora: le due sciagure, avvenute a poche ore una dall’altra, sembrano essere state causate dallo stesso motivo, una fiammata uscita dal generatore elettrico usato per far fronte ai frequenti blackout di questi giorni di piogge monsoniche record.
Mandato di cattura per i responsabili dell’azienda di Karachi. Il clamore internazionale del disastro di Karachi ha spinto il governo provinciale del Sindh a promuovere una commissione di inchiesta per accertare cause e responsabilità, mentre la polizia ha spiccato un mandato di cattura sui responsabili della “Ali Enterprise”. Ma si tratta di un’eccezione dovuta, per l’appunto, alla risonanza mass-mediatica di quanto successo.