Omicidio colposo e omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro: queste le accuse mosse dal pm Raffaele Graziano ai vertici che hanno guidato lo stabilimento siderurgico negli ultimi 40 anni.
Il magistrato: “Una continua e intollerabile esposizione alla fibra killer”.
La sentenza è attesa per il 23 maggio
Ventinove condanne per i 15 operai dell’Ilva di Taranto uccisi a causa dell’esposizione all’amianto.
Queste le richieste avanzate dal pm Raffaele Graziano, venerdì scorso, al termine della requisitoria al processo che vede alla sbarra 29 fra proprietari e dirigenti che – negli anni Ottanta, Novanta e Duemila – hanno guidato lo stabilimento.
Nessun precauzione adottata per contrastare gli effetti dell’asbesto.
Gli accusati – è la tesi – non avrebbero adottato le cautele necessarie per impedire gli effetti letali della fibra killer, in passato largamente utilizzato nel settore siderurgico. Omicidio colposo, omissione colposa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e disastro ambientale colposo sono i reati contestati.
“Nello stabilimento, nel corso degli anni, gli operai privi di protezione sono stati soggetti a una continua e intollerabile esposizione all’amianto”, ha sostenuto il pm.
Fino al 29 aprile la parola alla difesa.
Sotto accusa sia i manager del periodo in cui a gestire la fabbrica era l’azienda pubblica Italsider, sia dirigenti e proprietari di Ilva (la denominazione che lo stabilimento assunse dopo l’acquisizione da parte dei privati). Le richieste più alte – nove anni ciascuno – hanno riguardato i dirigenti dell’Italsider Sergio Noce, Giambattista Spallanzani e Attilio Angelini. Per Giorgio Zappa, ex direttore generale di Finmeccanica, il pm ha chiesto sette anni. Per l’ex patron Emilio Riva e suo figlio Fabio, invece, sono stati chiesti quattro anni e mezzo di reclusione. A costituirsi parte civili sono stati i parenti delle vittime, l’associazione “Contramianto” e l’Osservatorio nazionale sull’amianto.
La sentenza è attesa il 23 maggio.