Così James Watson della Wildlife Conservation Society ha commentato i risultati della ricerca di cui è stato coautore e pubblicata sul numero di febbraio 2017 di Biological Conservation (“Recent increases in human pressure and forest loss threaten many Natural World Heritage Sites”).
Lo Studio condotto da un team internazionale di ricercatori dell’Università del Queensland (Australia), di Wildlife Conservation Society (WCS), dell’Università del Northern British Columbia (Canada) e dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUNC), ha analizzato la pressione “umana” nel tempo sui siti naturali che l’UNESCO tutela come Patrimonio dell’Umanità perché custodi di alcune delle ricchezze ambientali più preziose per la Terra, rivelando che l’impronta umana costituita da strade, agricoltura, urbanizzazione, infrastrutture industriali e perdita di foreste, sta gravemente minacciando i siti Patrimonio dell’Umanità, tra cui anche il parco statunitense di Yellowstone.
Attualmente, sono 238 i siti iscritti sulla Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO per i loro valori naturali eccezionali, ma lo studio ha preso in esame solo i siti terrestri iscritti prima del 1994 per l’analisi dell’impronta umana (94 siti) e prima del 2001 per valutare la perdita del manto forestale (134 siti).
Analizzando le variazioni intervenute nel corso degli ultimi due decenni, i ricercatori hanno verificato che la pressione umana è aumentata nel 63% dei siti monitorati in tutti i continenti, ad eccezione dell’Europa i cui siti “sono stati molto modificati nel passato e adesso risultano già alterati – ha osservato James Allan, dell’Università del Queensland e principale autore dello studio – Rimane da considerare che la pressione del turismo e i cambiamenti climatici continuano oggi a minacciarli, ma nella ricerca non siamo riusciti a quantificare questi fenomeni perché i metodi per la raccolta dei dati devono essere globalmente uguali per poterli comparare tra loro”.
La Convenzione sul Patrimonio Mondiale è stata adottata nel 1972 per garantire la conservazione delle risorse naturali e culturali più importanti del mondo ed oltre 190 Paesi l’hanno sottoscritta, impegnandosi alla protezione dei siti che per valori di universalità, unicità ed insostituibilità (nel caso andassero perduti) fossero riconosciuti patrimonio mondiale dell’umanità, sulla base di prefissati criteri. Eppure lo Studio mette in evidenza le crescenti sfide che minano il successo della Convenzione, con minacce che giungono dal di fuori dei siti, rilevando anche l’urgenza di iniziative di conservazione su larga scala.
La responsabilità, infatti, rimane in capo ai singoli Stati, dal momento che l’UNESCO è solo una piattaforma per il coordinamento delle attività.
“Il concetto di patrimonio mondiale è grande, ma c’è bisogno dei singoli Paesi per farlo rispettare – ha concluso Allan – È tempo che la comunità globale rialzi la testa e solleciti i Governi a darne conto in modo che prendano sul serio la conservazione dei siti patrimonio naturale dell’umanità. Esortiamo il Comitato preposto a prendere immediatamente in esame i siti che abbiamo identificato come altamente minacciati, perché è necessario un intervento urgente per salvaguardare questi luoghi e i loro eccezionali universali valori universali”.