Cassazione Penale, Sez. 3, 11 aprile 2017, n. 18396 – Visita dei Carabinieri nel cantiere edile. Ai fini della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, quando si parla di rapporto di lavoro subordinato?
Già prima della entrata in vigore del d.lgs. n. 81 del 2008, la Corte aveva affermato il principio che ai fini della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, un rapporto di lavoro subordinato deve essere considerato tale in riferimento all’assenza di autonomia del lavoratore nella prestazione dell’attività lavorativa e non già in relazione alla qualifica formale assunta dal medesimo (Sez. 4, n. 12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv. 239251…) e che sono considerati lavoratori subordinati tutti coloro che, indipendentemente dalla continuità e dall’onerosità del rapporto prestano la loro attività fuori del proprio domicilio alle dipendenze e sotto la direzione altrui, anche se l’attività è prestata a mero titolo di favore.
La definizione di “lavoratore” fornita dall’art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 81 del 2008, fa leva sullo svolgimento dell’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale ed è definizione più ampia di quelle che l’hanno preceduta, che facevano riferimento, invece, al “lavoratore subordinato” (art. 3, d.P.R. n. 547 del 1955) e alla “persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro” (art. 2, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 626 del 1994).
Sicché, a prescindere dal fatto che un “lavoratore” possa essere titolare o meno di un’impresa artigiana ovvero essere un lavoratore autonomo, quel che conta, ai fini dell’applicazione delle norme incriminatrici in questione, è che egli oggettivamente disimpegni mansioni lavorative tipiche dell’impresa (non importa se a titolo di favore) nel luogo di lavoro deputato (nel caso di specie un cantiere) e su richiesta dell’imprenditore. Per cui stabilire se lo I.E. fosse un lavoratore autonomo o dipendente non ha rilevanza, non nei termini proposti dall’imputato; quel che rileva è che egli sia stato impiegato nei lavori d’impresa esercitando mansioni tipiche del lavoratore dipendente e con strumenti messi a disposizione dell’imprenditore, nel cantiere ove operava l’impresa stessa.
La definizione di “lavoratore” fornita dall’art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 81 del 2008, fa leva sullo svolgimento dell’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale ed è definizione più ampia di quelle che l’hanno preceduta, che facevano riferimento, invece, al “lavoratore subordinato” (art. 3, d.P.R. n. 547 del 1955) e alla “persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro” (art. 2, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 626 del 1994).
Sicché, a prescindere dal fatto che un “lavoratore” possa essere titolare o meno di un’impresa artigiana ovvero essere un lavoratore autonomo, quel che conta, ai fini dell’applicazione delle norme incriminatrici in questione, è che egli oggettivamente disimpegni mansioni lavorative tipiche dell’impresa (non importa se a titolo di favore) nel luogo di lavoro deputato (nel caso di specie un cantiere) e su richiesta dell’imprenditore. Per cui stabilire se lo I.E. fosse un lavoratore autonomo o dipendente non ha rilevanza, non nei termini proposti dall’imputato; quel che rileva è che egli sia stato impiegato nei lavori d’impresa esercitando mansioni tipiche del lavoratore dipendente e con strumenti messi a disposizione dell’imprenditore, nel cantiere ove operava l’impresa stessa.
Fonte: Olympus.uniurb
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