Uno studio, condotto dall’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibe) e pubblicato sulla rivista Environmental Pollution, ha messo in evidenza come i due mesi di blocco del traffico urbano esteso all’intero territorio nazionale abbiano determinato una significativa riduzione dei soli livelli di biossido di azoto (NO2); le concentrazioni di polveri sottili (PM2.5 e PM10) si sono ridotte in misura minore, mentre quelle di ozono (O3) sono rimaste invariate o addirittura aumentate. La ricerca ha preso in considerazione sei città tra le più popolate d’Italia caratterizzate da differenti condizioni climatiche: Milano, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Palermo.
“Lo scenario selezionato (24/02/2020-30/04/2020) è stato messo a confronto con uno meteorologicamente comparabile (25/02/2019–02/05/2019)”, spiega Giovanni Gualtieri, ricercatore Cnr-Ibe e coordinatore del progetto. “Sono state utilizzate misure meteo e di NO2, O3, PM2.5 e PM10 derivate da 58 stazioni meteorologiche e di qualità dell’aria, mentre la mobilità del traffico è stata derivata da big data a scala comunale. I livelli di NO2 sono notevolmente diminuiti in tutte le aree urbane (da -24.9% a Milano a -59.1% a Napoli), in misura approssimativamente proporzionale ma inferiore alla riduzione del traffico. Al contrario, le concentrazioni di O3 sono rimaste invariate o addirittura aumentate (fino al 13.7% a Palermo e al 14.7% a Roma), probabilmente a causa del ridotto consumo di O3 dovuto alle minori emissioni di monossido di azoto (NO) dei veicoli (NO+O3=NO2+O2). Ricordando che gli ossidi di azoto (NOx) e i composti organici volatili (COV) sono ben noti precursori dell’O3, un’ulteriore causa di aumento dell’O3 potrebbero essere le minori emissioni di NOx non compensate da analoghe riduzioni delle emissioni dei COV. Il PM10 ha mostrato riduzioni fino al 31.5% (Palermo) e aumenti fino al 7.3% (Napoli), mentre il PM2.5 ha mostrato riduzioni del 13–17% controbilanciate da aumenti fino al 9%. Un maggiore utilizzo del riscaldamento domestico (+ 16–19% a marzo), anche dovuto a condizioni meteorologiche più fredde rispetto al 2019 (da -0.2 a -0.8 °C) può in parte spiegare l’aumento delle emissioni primarie di PM, mentre un incremento delle attività agricole (segnatamente, coltivazioni con fertilizzanti e gestione dei reflui di composti azotati) può spiegare l’aumento delle emissioni di ammoniaca (NH3), che è un noto precursore del PM secondario”.
Con questo studio è stata così confermata la natura complessa che caratterizza l’inquinamento atmosferico anche nel momento in cui una delle principali fonti emissive sia isolata e controllata. “Emerge la necessità di sforzi costanti di decarbonizzazione in tutti i settori emissivi per apportare un miglioramento concreto alla qualità dell’aria e alla salute pubblica”, conclude Gualtieri.