Accertamento dell’origine delle malattie professionali

La Direzione Centrale Prestazioni dell’INAIL ha diramato a tutte le unità centrali e territoriali dell’Istituto la Circolare 16 febbraio 2006 – che riportiamo nel link – avente per oggetto “Criteri da seguire per l’accertamento della origine professionale delle malattie denunciate”.

Si legge nella premessa alla Circolare INAIL del 16 febbraio 2006 che le patologie denunciate all’Istituto come malattie professionali dotate di una patognomonicità che consenta una azione di eziologia professionale con criteri di assoluta certezza scientifica costituiscono ormai una limitata casistica”.
Attualmente prevalgono, infatti, malattie croniche degenerative e malattie neoplastiche e, più in generale, a genesi multifattoriale, riconducibili a fattori di nocività ubiquitari, ai quali si può essere esposti anche al di fuori degli ambienti di lavoro, oppure a fattori genetici.
Nel confermare le istruzioni di cui alle precedenti circolari, quanto al flusso procedurale della trattazione delle domande di riconoscimento di malattie professionali, l’Istituto assicurativo ritiene opportuno richiamare con la circolare citata alcuni “principi di natura sostanziale, al fine di garantire una uniforme applicazione degli stessi ed una omogenea trattazione della materia”.
Ad esempio , si legge nella Circolare, “la presenza nell’ambiente lavorativo di fattori di nocività, quando non sia possibile riscontrare con certezza le condizioni di lavoro esistenti all’epoca della dedotta esposizione a rischio, può essere desunta, con un elevato grado di probabilità, dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro e dalla durata della prestazione lavorativa. La valutazione dell’efficienza causale degli agenti patogeni va effettuata non in astratto ma in concreto, cioè con riferimento alle condizioni fisiche del singolo lavoratore. Non può, pertanto, escludersi l’efficienza causale, nel caso concreto, di fattori di rischio in quanto inferiori alle soglie previste dalla normativa prevenzionale, che sono misurate in relazione a un astratto lavoratore medio, dovendo essere valutata, piuttosto, la variabilità della risposta individuale alle sollecitazioni dell’agente patogeno”.

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