Amnesty pubblica i dati di una ricerca sulle forme di molestia online rivolte alle donne

La ricerca che Amnesty International ha commissionato ha coinvolto circa 4000 donne di età compresa tra i 18 e i 55 anni in Danimarca, Italia, Nuova Zelanda, Polonia, Regno Unito, Spagna, Svezia e Stati Uniti d’America.

Internet può essere un luogo minaccioso e pericoloso per le donne. A rivelarlo i dati della ricerca che Amnesty International ha commissionato all’istituto IPSOS MORI e che ha coinvolto circa 4000 donne di età compresa tra i 18 e i 55 anni in ciascuno di questi otto paesi: Danimarca, Italia, Nuova Zelanda, Polonia, Regno Unito, Spagna, Svezia e Stati Uniti d’America.

911 donne hanno risposto di aver subito molestie o minacce online, 688 delle quali sui social media. Per quanto riguarda l’Italia, su 501 donne intervistate, 81 hanno subito molestie o minacce online, 62 delle quali sui social media.

In particolare, un quarto (23 per cento) delle donne che hanno preso parte al sondaggio ha subito molestie o minacce almeno una volta: dal 16 per cento in Italia al 33 per cento negli Usa. Particolarmente allarmante il dato del 41 per cento delle donne che in almeno un’occasione hanno avuto paura per la loro incolumità fisica.

Più della metà delle donne intervistate (il 55 per cento) ha denunciato periodi di stress e ansia o attacchi di panico a seguito delle molestie e delle minacce online.

“Internet può essere un luogo minaccioso e pericoloso per le donne. Non è un segreto che la misoginia e le molestie prosperano sulle piattaforme online ma questo sondaggio dimostra quanto possano essere dannose le conseguenze per le donne prese di mira“, ha dichiarato in una nota ufficiale Azmina Dhrodia, ricercatrice di Amnesty International su Tecnologia e diritti umani.

“Siamo di fronte a qualcosa che non finisce quando cessi di essere online. Puoi ricevere minacce di morte appena apri una app, o vivere nel terrore che foto erotiche o intime circolino in rete senza il tuo consenso. Il tutto con una velocità incredibile: un tweet molesto può generare nel giro di pochi minuti un’ondata d’odio. Le compagnie che gestiscono i social media devono iniziare a prendere seriamente in considerazione questo problema”, ha proseguito Dhrodia.

Appena meno della metà (il 46 per cento) delle donne che hanno subito molestie o minacce online ha specificato che erano di natura misogina o sessista.

Tra un quinto (19 per cento in Italia) e un quarto delle donne ha riferito di aver subito minacce di aggressione fisica o sessuale.

Il 58 per cento delle donne che hanno subito molestie o minacce online ha raccontato che includevano frasi razziste, sessiste, omofobiche o transfobiche. Il 26 per cento ha denunciato che informazioni personali e private o altri dati sensibili riguardanti la loro persona (il cosiddetto fenomeno del “doxxing”) erano stati condivisi online.

Oltre il 59 per cento delle donne intervistate ha detto che le molestie o le minacce on line arrivavano da perfetti sconosciuti.

L’impatto psicologico di tutto questo può essere devastante:
– il 61 per cento delle donne che hanno subito molestie o minacce online ha provato diminuzione dell’autostima e della fiducia in sé stesse;
– oltre la metà (il 55 per cento) ha provato stress e ansia e ha avuto attacchi di panico;
complessivamente il 63 per cento (ma in Nuova Zelanda il 75 per cento) ha riferito disturbi del sonno;
– oltre la metà (il 56 per cento) ha avuto difficoltà di concentrazione per lunghi periodi di tempo.

Le molestie e la violenza online sono una minaccia diretta a questo genere di libertà d’espressione. Oltre tre quarti (il 76 per cento) delle donne che hanno subito molestie o minacce online ha cambiato il modo di usare i social media, ad esempio i contenuti dei post: il 32 per cento ha detto di aver cessato di pubblicare opinioni su determinati argomenti.

“I social media aiutano a rafforzare la libertà d’espressione e aumentano l’accesso all’informazione. Ma da quando la discriminazione e la violenza contro le donne sono sbarcate sul mondo digitale, molte donne si tirano indietro dalle conversazioni o si auto-censurano temendo conseguenze per la propria privacy o incolumità”, ha sottolineato Dhrodia.

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