Appalto e interposizione di manodopera: sentenza Cassazione Lavoro

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza 9 marzo 2009 n. 5648 si è pronunciata ancora una volta sul caso di un lavoratore che ha chiesto l’accertamento di una illecita interposizione di manodopera ribadendo la differenza tra tale istituto e l’appalto

La Suprema Corte, operando qui una ricognizione degli orientamenti consolidati dalla stessa in materia, e ribadendoli, ricorda che “secondo Cass. 18281/07 (conforme a Cass. 11120/06, 14996/05) il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro sancito dall’art. 1, legge 23 ottobre 1960, n. 1369, opera nel caso in cui l’appalto abbia ad oggetto la messa a disposizione di una prestazione lavorativa, attribuendo all’appaltatore i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto, senza una reale organizzazione della prestazione stessa finalizzata ad un risultato produttivo autonomo, ed ancora secondo Cass. 16016/07 cit. (conforme a Cass. 14302/02) il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro (art. 1 legge 23 ottobre 1960, n. 1369), in riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore – datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo”.
Aggiunge poi che “né, sempre in base a giurisprudenza di questa Corte, è necessario, per aversi intermediazione vietata, che l’impresa appaltatrice sia una impresa fittizia, essendo invece sufficiente che la stessa non fornisca una propria organizzazione di mezzi in relazione al particolare servizio appaltato (v., fra le tante, Cass. 5087/98 e 11120/06). Invero, una volta accertata l’estraneità dell’appaltatore all’organizzazione e direzione dei prestatori di lavoro nell’esecuzione dell’appalto è del tutto ultronea qualsiasi questione inerente il rischio economico e l’autonoma organizzazione del medesimo rimanendo, comunque, esclusa da parte dell’appaltatore, per la rilevata estraneità, una reale organizzazione della prestazione stessa finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (Cass. 12363/03)”.
Riguardo poi all’impostazione della pronuncia di secondo grado che presentava un difetto di motivazione, “non è assolutamente sufficiente verificare che l’appalto venga concluso con un soggetto dotato di una propria ed effettiva organizzazione, occorrendo accertare, in primo luogo, se, a termini di contratto, la prestazione lavorativa deve essere resa nell’ambito di un’organizzazione e gestione propria dell’appaltatore, in quanto finalizzata ad un autonomo risultato produttivo; anche in caso di esito positivo di questa indagine, è altresì necessario esaminare la concreta esecuzione del contratto e, quindi, l’esistenza anche in fatto dell’autonomia gestionale dell’appaltatore che si esplica nella conduzione aziendale, nella direzione del personale, nella scelta delle modalità e dei tempi di lavoro. Nella motivazione della sentenza di appello, di contro, sono valorizzati elementi privi di rilievo dirimente, quali la permanenza dei poteri di gestione amministrativa in capo alla cooperativa, che è, invece, connaturale alle ipotesi di intermediazione vietata, mentre non emerge in cosa consistesse, nella specie, l’autonomia gestionale dell’appaltatore, quale fosse l’attività organizzativa svolta nella disposizione del servizio, come si esplicasse la sua attività di direzione nei confronti del personale impiegato nell’appalto, in che modo l’appaltatore esperisse autonomamente un complesso di operazioni costituenti un servizio autonomo”.

AG

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