Cassazione Civile, Responsabilità datore lavoro per condotte mobbizzanti

Cassazione Civile, 22 gennaio 2013, n. 1471 – Responsabilità contrattuale di un datore di lavoro per condotte mobbizzanti poste in essere da colleghi di lavoro

Cassazione Civile, 22 gennaio 2013, n. 1471

Responsabilità contrattuale di un datore di lavoro per condotte mobbizzanti poste in essere da colleghi di lavoro.

Pubblicato sul sito Olympus.Uniurb

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Fatto

F. L., dipendente della M. s.p.a., con funzioni di preposto al reparto forni, ha agito nei confronti della datrice di lavoro per l’accertamento del demansionamento subito in conseguenza della sua adibizione nel settembre 2001 a mansioni di contenuto professionale inferiore in violazione dell’art. 2103 cod. civ. e per l’accertamento della responsabilità datoriale ex art. 2087 cod. civ. in relazione al mobbing” cui fu sottoposto, a partire dalla stessa data, anche mediante dileggi e vessazioni da parte di colleghi di lavoro.

Ha dunque agito per la reintegra nella precedenti mansioni o in altre equivalenti e il risarcimento del danno professionale, biologico e morale.
Ha altresì impugnato tre sanzioni disciplinari irrogategli nel dicembre 2003 e nel febbraio 2004.

La domanda è stata accolta in primo grado dal Tribunale di Verona che ha ordinato alla società M. di reintegrare il ricorrente nelle precedenti mansioni o in altre equivalenti e l’ha condannata al risarcimento del danno da demansionamento nella misura del 50% delle retribuzioni nette dal mese di settembre 2001 alla data della sentenza, nonché al risarcimento del danno biologico da mobbing, determinato nella misura di euro 37.339,50.

A seguito di appello proposto dalla società, la Corte di appello di Venezia, con sentenza del 22 settembre 2009, in parziale accoglimento dell’appello principale e in parziale riforma della sentenza impugnata, ha ridotto la misura del risarcimento del danno da demansionamento ad una somma pari al 30% della retribuzione e rideterminato il risarcimento del danno biologico da invalidità temporanea nella somma di euro 5.859,00 da devalutarsi alla data del 1.9.2001, oltre interessi sulla somma annualmente rivalutata; ha confermato nel resto la sentenza impugnata, respingendo i restanti motivi dell’appello principale, nonché l’appello incidentale del lavoratore.

Per la cassazione di tale sentenza la soc. M. propone ricorso affidato a sei motivi, cui resiste con controricorso F. L..

DIRITTO
…. omissis …

Né le modalità attraverso le quali la facoltà di critica è stata esercitata sono state prospettate per sé idonee ad integrare la lesione all’immagine.

L’esercizio, da parte del lavoratore, da diritto di critica nei confronti del datore di lavoro, garantito dagli artt. 21 e 39 Cost., incontra i limiti della correttezza formale, imposti dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente assicurata (art. 2 Cost.), di tutela della persona umana.

Ne consegue che, ove tali limiti siano superati con riferimenti denigratori non provati, il comportamento del lavoratore può essere legittimamente sanzionato in via disciplinare (Cass. n 7471 del 2012).

Non risulta che nella fattispecie sussistano tali (diversi) presupposti giustificativi.

Il ricorso vi dunque respinto.

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