Cassazione Penale, Sez. 4, 07 aprile 2022, n. 13212 – Infortunio con una linea taglio. Nonostante l’anomalo comportamento della vittima la presenza di una protezione che impedisse l’accesso alla lama in movimento avrebbe scongiurato l’evento.
La Corte d’appello ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale aveva condannato il procuratore speciale per la sicurezza della ditta per le lesioni subite dalla lavoratrice cagionate per negligenza, imprudenza, imperizia e per violazione di norme in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, nella specie omettendo di valutare i rischi connessi all’utilizzo dell’attrezzatura utilizzata dalla lavoratrice nell’occorso (una linea taglio), con specifico riferimento al contatto di parti del corpo del lavoratore con elementi mobili pericolosi del macchinario, durante il processo lavorativo e per aver messo a disposizione della lavoratrice un macchinario che permetteva il contatto dell’arto ferito con il rullo pressore e la lama taglio in movimento.
La Cassazione evidenzia che la Corte territoriale, con analitica e puntuale descrizione della dinamica, ha precisato che effettivamente il caso si poneva su una linea di confine tra il comportamento anomalo della vittima e il mancato completo adempimento delle prescrizioni di sicurezza da parte del responsabile di essa, risolvendosi nel senso che la condotta della persona offesa, nella specie, pur indiscutibilmente imprudente e inosservante del corretto metodo lavorativo, non era stata tuttavia eccentrica, rispetto alla lavorazione assegnata, né imprevedibile, tenuto conto del contesto in cui l’evento era avvenuto e delle caratteristiche del macchinario: questo, realizzato in epoca risalente, era completamente accessibile in prossimità della lama tagliente, anche se la stessa era abbastanza coperta dal rullo pressore; il difetto era certamente attribuibile al costruttore, ma anche all’imputato che non aveva provveduto per adeguare il macchinario, non più rispondente ai requisiti di legge e alle nuove norme di sicurezza, nonostante la certificazione CE, precisando che nessun affidamento poteva esonerare il garante, soprattutto nel caso di specie, in cui la macchina non era stata neppure costruita secondo le prescrizioni comunitarie.
Il nesso causale tra la pericolosa inadeguatezza del macchinario e le lesioni era stata dimostrata al di là di ogni dubbio: la lavoratrice si era procurata la lesione durante l’attività di pulizia del macchinario con l’utilizzo di un tubetto di cartone; la sua mano era stata trascinata verso la lama non protetta; la stessa aveva certamente violato le prescrizioni datoriali, poiché non aveva spento la macchina e neppure utilizzato l’aria compressa per eliminare i residui della lavorazione. Il comportamento, però, non poteva essere considerato eccezionale, né imprevedibile, come prospettato a difesa: l’operazione alla quale era intenta la vittima faceva parte delle sue assegnazioni e la pericolosità intrinseca del gesto non rendeva il comportamento eccezionale. Secondo la Corte d’appello, il primo giudice aveva correttamente valutato la fattispecie concreta, essendo indubbio che, nonostante l’anomalo comportamento della vittima, la presenza di una protezione che impedisse l’accesso alla lama in movimento avrebbe scongiurato l’evento.
Quanto al comportamento del lavoratore è certamente vero che – in materia di prevenzione antinfortunistica – si è passati da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), a un modello “collaborativo”, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 d.lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (cfr., sul punto, sez. 4 n. 8883 del 10/2/2016, Santini e altro, Rv. 266073).
Tuttavia, pur dandosi atto che – da tempo – si è individuato il principio di auto responsabilità del lavoratore e che è stato abbandonato il criterio esterno delle mansioni, sostituito con il parametro della prevedibilità, intesa come dominabilità umana del fattore causale (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 41486 del 2015, Viotto), passandosi, a seguito dell’introduzione del d. lgs 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008, dal principio “dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore” al concetto di “area di rischio” (sez. 4, n. 21587 del 23/3/2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, resta in ogni caso fermo il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all’interno dell’area di rischio, nella quale si colloca l’obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (cfr. sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.).
All’interno dell’area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo ove sia tale da attivarne uno eccentrico o esorbitante dalla sfera governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (cfr. sez. 4 n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT e/ Musso Paolo, rv. 275017); oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (cfr. sez. 4 n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Nella risposta approntata dalla Corte d’appello alle doglianze formulate con il gravame non si riviene alcun vizio motivazionale che infici il complessivo ragionamento probatorio svolto che, al contrario, tiene in debito conto i principi testé richiamati. Nella specie, il lavoratore ha agito nel contesto delle lavorazioni espressamente assegnate e la scelta di alzare la copertura della lama della sega circolare è stata resa possibile proprio dalla inidoneità del sistema di separazione del lavoratore dalle parti taglienti del macchinario.
Fonte: Olympus.uniurb