Cassazione Penale: Estremo degrado materiale delle condizioni di lavoro dei dipendenti e responsabilità del datore

Sentenza della Cassazione Penale, Sez. 6, del 9 giugno 2014, n. 24057

Con sentenza n. 24057/2014, la Cassazione Penale, Sez. VI, ha affrontato la delicata questione della responsabilità del datore di lavoro per le condizioni di estremo degrado materiale in cui i suoi dipendenti sono costretti a lavorare.
Nello specifico ad un datore di lavoro era stato contestato di aver tenuto alle proprie dipendenze lavorative alcuni cittadini rumeni in condizioni di estremo degrado materiale, poiché ospitati in locali fatiscenti, in pessime condizioni igienico – sanitarie, con somministrazione scarsa o nulla di cibo e privazione del compenso.
In primo grado il datore veniva riconosciuto colpevole del reato di riduzione in schiavitù di cui all’art. 600, comma 1 c.p., mentre in secondo la Corte d’Appello, rilevando la sussitenza di rapporti lavorativi di natura cd. parafamiliare, riconosceva il reato di maltrattamenti ex art 572 c.p., riducendo la pena.
Avverso la decisione di secondo grado è stato proposto ricorso.
La Cassazione Penale ha ricompreso la vicenda in oggetto tra quelle situazioni in cui il rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente assume natura cd. parafamiliare, poiché caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia; ovvero nell’ambito di un rapporto professionale o di lavoro ove il soggetto attivo si trovi un una posizione di supremazia, connotata dall’esercizio di un potere direttivo o disciplinare tale da rendere ipotizzabile una condizione di soggezione, anche solo psicologica, del soggetto passivo, che appaia riconducibile ad un rapporto di natura parafamiliare.
La Suprema Corte, pertanto, confermando la decisione di secondo grado, ha rilevato la sussistenza del reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 cod. pen. e rigettato il ricorso.

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