Diritto
1. Il ricorso dei pubblici ministeri è fondato; occorre esaminare preliminarmente la questione relativa alla ritenuta sostanziale equiparazione del fallimento della società alla morte della persona fisica. La questione non è nuova per questa Corte, se esaminata sotto il profilo formale dell’estinzione. Questa stessa sezione si è già occupata dell’argomento specifico nella sentenza n. 47171 del 2 ottobre 2009, Vannuzzo, che così argomentava; “Il Gup ha affermato in motivazione che l’avvenuto fallimento della società configurerebbe una ipotesi di estinzione dell’illecito contestato. Non può però non rilevarsi come una simile causa di estinzione non sia prevista dalla L. n. 231 del 2001, la quale, invece, indica espressamente come causa di estinzione della responsabilità dell’ente la prescrizione per decorso del termine di legge e prevede altresì la improcedibilità nei confronti dell’ente quando sia intervenuta amnistia in relazione al reato presupposto. Come rilevato dal PM impugnante e dalla giurisprudenza sopra citata, solo quando la cessazione della attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese possono ritenersi cessati gli obblighi di legge a carico dell’ente. La Cassazione a Sezioni unite ha rilevato in proposito che la sentenza che dichiara il fallimento priva la società fallita dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti a quella data, assoggettandoli alla procedura esecutiva concorsuale finalizzata al soddisfacimento dei creditori, ma tale effetto di spossessamelo non si traduce in una perdita della proprietà, in quanto la società resta titolare dei beni fino al momento della vendita fallimentare (Sez. U, Sentenza n. 29951 del 24/05/2004 Cc. (dep. 09/07/2004) Rv. 228164”.
2. Orbene, la soluzione cui è giunta la sentenza richiamata è assolutamente condivisibile; è noto che il fallimento non produce l’estinzione della società, la quale non consegue automaticamente nemmeno alla chiusura della procedura, essendo necessario un atto formale di cancellazione della società da parte dei curatore. Fino a quel momento la società rimane in vita, mantenendo funzioni limitate ed ausiliarie e potendo comunque ritornare in bonis, con conseguente riespansione dei poteri gestionali ed amministrativi degli organi sociali.
omissis:
Leggi l’intera sentenza sul sito di http://olympus.uniurb.it