Cassazione Penale: infortunio durante l’esecuzione di lavoro «in nero»

Cassazione Penale, Sez. 4, 25 luglio 2022, n. 29367 – Infortunio durante i lavori «in nero» di resinatura della carena dell’imbarcazione da pesca. Definizione di lavoratore.

La Corte d’appello ha confermato la sentenza di condanna dell’imputato in ordine al delitto di lesioni colpose, aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni dell’infortunato.
I fatti sono stati ricostruiti nelle sentenze di merito, conformi, nel modo seguente. L’imputato nella qualità di datore di lavoro di fatto aveva commissionato a titolo oneroso all’infortunato dei lavori «in nero» di resinatura della carena della sua imbarcazione da pesca che si trovava alata in secca all’interno di un cantiere, sopra due cavalletti; nella esecuzione di detti lavori il lavoratore era precipitato al suolo da un’altezza di circa 2,5 metri, procurandosi lesioni encefaliche e vertebrali tali da ridurlo in stato vegetativo permanente. L’addebito di colpa a carico dell’imputato è stato individuato nel non aver adottato, ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., tutte le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica erano necessarie a tutelare l’integrità fisica del prestatore del lavoro, oltre che nella violazione degli artt. 111 comma 1 lett.a) e 122 d.lgs 9 aprile 2008 n. 81, per non avere, nel quadro di un lavoro temporaneo in quota, scelto le attrezzature più idonee a garantire e mantenere le condizioni di lavoro sicure e per non avere adottato adeguate impalcature o ponteggio o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta delle persone.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato.

Il ricorso deve essere rigettato.
Con motivazione chiara, logica ed esaustiva i giudici di primo e secondo grado hanno spiegato le ragioni per cui hanno ritenuto sussistente un rapporto di lavoro fra l’imputato e la persona offesa.
La Corte di Appello, inoltre, ha fatto buon governo dei principi di diritto elaborati in relazione alla applicabilità della normativa prevenzionistica a rapporti quale quello in esame. Appare sotto tale profilo, utile ricordare la definizione di lavoratore contenuta nel d lgs. 9 aprile 2008, n. 81, ovvero «la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione» è più ampia di quella prevista dalla normativa pregressa nella quale si faceva espresso riferimento al «lavoratore subordinato» (art. 3, d.P.R. n.547 del 1955) e alla «persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro» (art. 2, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 626 del 1994) (in tal senso, Sez. 3, n. 18396 del 15/03/2017, Cojocaru, Rv. 269637).
Peraltro, già prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 81 del 2008, la Corte ha qualificato come lavoratori subordinati coloro che, indipendentemente dalla continuità e dall’onerosità del rapporto, abbiano prestano la loro attività fuori del proprio domicilio alle dipendenze e sotto la direzione altrui (Sez. 4, n. 267 del 28/06/1988, Anorini RV. l80135) e ha affermato il principio che, ai fini della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, un rapporto di lavoro subordinato deve essere considerato tale in riferimento all’assenza di autonomia del lavoratore nella prestazione dell’attività lavorativa e non già in relazione alla qualifica formale assunta dal medesimo (Sez. 4, n. 12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv. 239251).

Fonte: Olympus.uniurb

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