Cassazione Penale, Sez. 4, 26 febbraio 2024, n. 8292 – Caduta dal solaio privo di parapetto.
La Corte d’Appello ha confermato la sentenza di condanna dell’imputato, in qualità di legale rappresentante dell’impresa affidataria di lavori edili presso il cantiere e datore di lavoro, in ordine al reato di cui all’art. 590 cod. pen. in danno del lavoratore assunto in base a contratto di somministrazione lavoro a tempo determinato.
Il processo ha ad oggetto un infortunio sul lavoro, la cui dinamica è stata descritta in maniera conforme dalle sentenze di merito. Il lavoratore operava, insieme alla manodopera della impresa affidataria dei lavori, nel cantiere nel quale erano in corso un ampliamento di un’abitazione tramite la costruzione di un ulteriore vano, in particolare era impegnato in lavorazioni su un solaio posto circa a tre metri di altezza dal piano di campagna e privo di parapetto provvisorio, quando era caduto riportando lesioni personali consistite in politrauma, plurime fratture da cui era derivata una malattia di durata superiore a 40 giorni.
All’imputato sono stati contestati, quali addebiti di colpa, la negligenza, l’imprudenza e l’imperizia e la violazione dell’art. 97, comma 1 e 3, D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, per non avere verificato le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l’applicazioni delle disposizioni del piano di sicurezza e coordinamento e per non avere verificato la congruenza del piano operativo di sicurezza dell’impresa affidataria dei lavori.
L’imputato ha proposto ricorso formulando due motivi.
Con il primo motivo ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla affermazione della penale responsabilità, lamentano che la Corte di Appello avrebbe ritenuto non veritiera l’ipotesi ricostruttiva per cui il lavoratore sarebbe caduto non già dal solaio bensì da una scala. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione del beneficio della non menzione.
Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Il primo motivo, con cui il ricorrente eccepisce il vizio di motivazione in ordine alla ricostruzione della dinamica dell’infortunio e ne revoca in dubbio la coerenza dal punto di vista logico e l’aderenza rispetto alle emergenze processuali, è inammissibile in quanto meramente riproduttivo della censura già dedotta e, comunque, manifestamente infondato.
Il secondo motivo, con cui si lamenta della mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato spedito a richiesta dei privati, è inammissibile, in quanto strettamente connesso alla diversa ricostruzione della dinamica dell’infortunio da parte del ricorrente, di cui si è già dato atto nella trattazione del primo motivo. I giudici hanno motivato il rigetto della richiesta di concessione del beneficio della non menzione in ragione della condotta processuale dell’imputato, valutata negativamente per la pervicacia con cui aveva sostenuto una differente ipotesti ricostruttiva, palesemente inverosimile, e hanno sostenuto che la mancata concessione del beneficio poteva contribuire maggiormente alla rieducazione del responsabile.
Il ricorrente censura la coerenza di tale percorso argomentativo, rilevando che la diversa ricostruzione sostenuta dall’imputato era plausibile. In tal modo, tuttavia, il ricorrente riproduce lo stesso argomento dedotto nel primo motivo, già ritenuto inammissibile: il giudizio di implausibilità della tesi per cui il lavoratore fosse caduto da una scala e non già dal solaio, come detto, è logico e conseguente alle risultanze dell’istruttoria, sicché l’affermazione per cui egli aveva ostinatamente sostenuto una differente dinamica non è censurabile nel merito e vale a giustificare la negazione del beneficio richiesto.
Fonte: Olympus.uniurb