Cassazione Penale, Sez. 4, 15 dicembre 2016, n. 53308 – Infortunio mortale per contatto con i cavi elettrici. Responsabilità di un CSE o caso fortuito?
La Suprema Corte in questa sentenza si è così espressa: “i giudici di merito hanno riconosciuto le lacune del piano di sicurezza e di coordinamento in fase esecutiva per non essere stato considerato il rischio interferenziale connesso alle lavorazioni in prossimità di linee elettriche, non già in relazione alla direttiva del responsabile della sicurezza che aveva previsto (relativamente alle linee ad alta tensione) il rispetto di una distanza di cinque metri nella lavorazione, quanto alle modalità di scarico, movimentazione e di stoccaggio del materiale rappresentato da tubi, affinchè fosse evitato il rischio di contatto con i cavi elettrici.
Va peraltro disatteso il motivo di ricorso che riconduce il determinismo dell’evento dannoso ad un fattore eccezionale e imprevedibile, rappresentato dalle condizioni morfologiche del terreno impregnato di acqua in prossimità dell’area abitualmente occupata per lo scarico, che impose che le operazioni avvenissero in area rialzata. Con motivazione del tutto coerente sotto il profilo logico giuridico i giudici di merito hanno riconosciuto al coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione un particolare obbligo di vigilanza e di verifica in un momento topico della lavorazione, in coincidenza con la ripresa delle opere dopo una lunga pausa dettata, oltre che dalle festività, anche dalle avverse condizioni metereologiche maturate a ridosso della fine dell’anno.
La particolare situazione di instabilità del terreno e di insidia per i mezzi e gli operai impegnati nella lavorazione era circostanza nota, e in particolare conosciuta dal coordinatore della sicurezza in fase esecutiva, il quale già nell’ottobre 2004 aveva segnalato un problema di stabilità del terreno per pericolo di frane, raccomandando il rigoroso rispetto delle procedure di sicurezza quanto alle operazioni di scavo.
Pure a voler riconoscere in capo al M.C., coordinatore della sicurezza in fase esecutiva, compiti di alta vigilanza che non imponevano la sua presenza costante nelle aree di intervento anche in ragione delle ulteriori responsabilità assunte per conto del Consorzio di Bonifica, con motivazione del tutto logica e priva di contraddizioni il giudice di appello, in conformità alle ragioni del primo giudice, ha evidenziato come si imponesse alla ripresa dei lavori una fattiva e partecipe attività di coordinamento, proprio in ragione delle intervenute trasformazioni nel sedime dell’area interessata dalle opere, stante la necessità di adeguare le metodiche lavorative alla nuova situazione morfologica, in una prospettiva di riassetto e di adeguamento delle procedure di intervento. La omissione di un siffatto intervento aveva condotto il lavoratore ad assumere una decisione estemporanea, verosimilmente partecipata da responsabile della sicurezza della parte datoriale, ma in evidente contrasto con regole generali di prudenza e in assenza di una specifica previsione del POS e del piano di coordinamento.”
Va peraltro disatteso il motivo di ricorso che riconduce il determinismo dell’evento dannoso ad un fattore eccezionale e imprevedibile, rappresentato dalle condizioni morfologiche del terreno impregnato di acqua in prossimità dell’area abitualmente occupata per lo scarico, che impose che le operazioni avvenissero in area rialzata. Con motivazione del tutto coerente sotto il profilo logico giuridico i giudici di merito hanno riconosciuto al coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione un particolare obbligo di vigilanza e di verifica in un momento topico della lavorazione, in coincidenza con la ripresa delle opere dopo una lunga pausa dettata, oltre che dalle festività, anche dalle avverse condizioni metereologiche maturate a ridosso della fine dell’anno.
La particolare situazione di instabilità del terreno e di insidia per i mezzi e gli operai impegnati nella lavorazione era circostanza nota, e in particolare conosciuta dal coordinatore della sicurezza in fase esecutiva, il quale già nell’ottobre 2004 aveva segnalato un problema di stabilità del terreno per pericolo di frane, raccomandando il rigoroso rispetto delle procedure di sicurezza quanto alle operazioni di scavo.
Pure a voler riconoscere in capo al M.C., coordinatore della sicurezza in fase esecutiva, compiti di alta vigilanza che non imponevano la sua presenza costante nelle aree di intervento anche in ragione delle ulteriori responsabilità assunte per conto del Consorzio di Bonifica, con motivazione del tutto logica e priva di contraddizioni il giudice di appello, in conformità alle ragioni del primo giudice, ha evidenziato come si imponesse alla ripresa dei lavori una fattiva e partecipe attività di coordinamento, proprio in ragione delle intervenute trasformazioni nel sedime dell’area interessata dalle opere, stante la necessità di adeguare le metodiche lavorative alla nuova situazione morfologica, in una prospettiva di riassetto e di adeguamento delle procedure di intervento. La omissione di un siffatto intervento aveva condotto il lavoratore ad assumere una decisione estemporanea, verosimilmente partecipata da responsabile della sicurezza della parte datoriale, ma in evidente contrasto con regole generali di prudenza e in assenza di una specifica previsione del POS e del piano di coordinamento.”
Fonte: Olympus.uniurb
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