Cassazione Penale: lavoratore investito e mancanza di idonea segnalazione delle vie di circolazione nel piazzale di una ditta di trasporti

Cassazione Penale, Sez. 4, 29 marzo 2023, n. 13040 – Lavoratore investito nel piazzale della ditta di trasporti. Mancanza di idonea segnalazione delle vie di circolazione.

 

La Corte d’appello ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli di condanna nei confronti del titolare della ditta di autotrasporti e datore di lavoro, in ordine al delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di un suo dipendente.
I fatti sono stati ricostruiti nelle sentenze di merito nel modo seguente: un dipendente all’interno del piazzale della ditta di autotrasporti, alla guida di un’autogru aveva agganciato il container alloggiato sul cassone del camion guidato dal dipendente vittima dell’infortunio per trasferirlo nell’area stoccaggio e iniziata la manovra di marcia indietro, aveva investito lo stesso, nel frattempo disceso dal camion e in transito proprio dietro al mezzo, che era conseguentemente rimasto schiacciato sotto la ruota posteriore e deceduto sul colpo.
L’addebito di colpa nei confronti dell’imputato è stato individuato nella violazione delle norme per la prevenzione infortuni sul lavoro ed in particolare del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 63 n. 1, art. 64 lett. a), art. 68 lett. b), 162 all. IV 1.4. e 1.8, per non aver predisposto, nel piazzale della ditta, adeguata segnaletica verticale e orizzontale, nè altre misure o dispositivi idonei a garantire il transito e il movimento in sicurezza di mezzi e persone.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato.

Il ricorso è inammissibile.
Nel caso in esame la Corte d’appello, in replica ai motivi di impugnazione, ha richiamato la ricostruzione dell’incidente così come operata dal primo giudice e sulla base di tale ricostruzione ha ritenuto che dovesse essere confermata la affermazione della responsabilità dell’imputato sulla base dei seguenti rilievi:
– sia la vittima sia il conducente dell’autogru al momento dell’incidente erano intenti allo svolgimento di attività lavorative nell’ambito della organizzazione del datore di lavoro, tali essendo sia il trasporto con il camion del container presso la sede, sia l’espletamento delle successive manovre di scarico del medesimo container;
– il datore di lavoro, titolare di una posizione di garanzia rispetto ai rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, non aveva adottato misure organizzative idonee a prevenire lo specifico rischio di interferenze tra le attrezzature in movimento e i dipendenti a piedi: l’osservazione contenuta nel documento di valutazione del rischi secondo cui “le dimensioni delle vie di circolazione sono tali da non costituire pericolo” appariva insufficiente; solo la apposizione di idonea segnalazione delle vie di circolazione nel piazzale con strisce continue di colore ben visibile e segnaletica verticale che tenesse conto delle distanze di sicurezza necessarie tra i veicoli in circolazione ed i pedoni avrebbe evitato che i lavoratori a piedi si potessero trovare nella zona di attività di attrezzature in movimento;
– l’investimento del pedone doveva, dunque, essere ritenuto conseguenza della omessa adozione delle su esposte misure cautelari, che, se osservate, avrebbero evitato l’interferenza fra il carrello in movimento e il camionista a piedi;
– il comportamento del lavoratore vittima dell’incidente, che non aveva rispettato il divieto di scendere dal camion durante le operazioni di carico e scarico, non aveva interrotto il nesso di causalità, in quanto la vittima aveva agito nello svolgimento della mansione attribuitagli e la sua condotta si collocava all’interno dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso che il garante era chiamato a governare, sicchè non poteva essere considerata abnorme.

Il percorso argomentativo adottato dalla Corte è coerente con i dati di fatto riportati e rispettoso dei principi individuati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento del nesso causale. I giudici hanno adeguatamente vagliato il tema della causalità della colpa intesa come introduzione da parte del soggetto agente del fattore di rischio poi concretizzatosi con l’evento, posta in essere attraverso la violazione delle regole di cautela tese a prevenire e a rendere evitabile il prodursi di quel rischio (Sez 4. n. 40050 del 29/03/2018, Lenarduzzi, Rv273870; Sez. 4, n. 17000 del 05/04/2016, Scalise, Rv.266645). Hanno, infatti, osservato che nel caso di specie l’obbligo di predisporre la segnaletica volta a delimitare le zone per il transito dei pedoni da quelle per il transito dei mezzi era funzionale ad evitare eventi quale quello verificatosi, ovvero gli urti e le collisioni fra mezzi e lavoratori, anche a fronte di eventuali condotte imprudenti delle persone addette all’area. La condotta del lavoratore deceduto – hanno proseguito i giudici- non poteva essere considerata abnorme e non poteva, dunque, avere rilievo ai fini della interruzione del nesso di causa, in quanto al datore di lavoro era stato rimproverato di non avere adottato le necessarie misure prevenzionistiche che avrebbero impedito qualsivoglia interferenza fra i conducenti dell’autogru ed eventuali pedoni (Sez. 4, n. 12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv. 23925301). Anche sotto tale profilo la decisione è conforme alla giurisprudenza di legittimità. Pur dandosi atto che a seguito dell’introduzione del D.Lgs. n. 626 del 1994 e, poi, del T.U. 81/2008 si è passati dal principio “dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore” al concetto di “area di rischio” (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, resta in ogni caso fermo il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all’interno dell’area di rischio, nella quale si colloca l’obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.). All’interno dell’area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sez. 4 n. 15124 del 13712/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT Musso Paolo, rv. 275017), oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222). In ogni caso “perchè possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un “rischio eccentrico”, con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio del comportamento imprudente” (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 27624201). Nel caso di specie la condotta del lavoratore deceduto era stata posta in essere nell’ambito delle mansioni affidate e non aveva, comunque, attivato un rischio eccentrico, posto che le regole precauzionali che il datore di lavoro avrebbe dovuto osservare erano volte appunto a governare i rischi collegati anche ad eventuali imprudenze.

Fonte: Olympus.uniurb

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