Cassazione Penale: molteplici violazioni in materia di sicurezza sul lavoro ed esclusione della punibilità

Cassazione Penale, Sez. 3, 01 aprile 2022, n. 11992 – Molteplici violazioni in materia di sicurezza sul lavoro. Condizioni per l’esclusione della punibilità: particolare tenuità dell’offesa e non abitualità del comportamento.

La Corte di Appello ha confermato la sentenza di condanna del legale rappresentante di una ditta di costruzioni, sospesa, di mesi quattro di arresto per più reati di cui al d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 in materia di sicurezza del lavoro. Avverso la predetta decisione é stato proposto ricorso per cassazione articolato su un motivo di impugnazione, tramite il quale — invocando violazione di legge e vizio motivazionale – è stato censurato il mancato riconoscimento della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. In particolare, la sentenza impugnata aveva escluso la non abitualità del fatto in considerazione del numero delle contravvenzioni contestate e della circostanza che esse erano state poste in essere nell’ambito di un’attività imprenditoriale.
Secondo il ricorrente appariva evidente l’illegittimità di quest’ultima giustificazione, non sussistendo al riguardo alcuna esclusione normativa. Quanto agli altri requisiti di legge, era stata omessa ogni valutazione su modalità della condotta nonché esiguità del danno e del pericolo, laddove dalla pluralità delle contravvenzioni non poteva di per sé dedursi l’abitualità del comportamento, attesa la necessità di un’indagine in ordine alla serialità eventuale delle condotte, con una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta. In specie il ricorrente ha altresì dedotto tanto l’ottemperanza alle prescrizioni imposte quanto l’occasionalità della condotta, sottolineando altresì il quantum di pena, contenuto nel minimo edittale.

Il ricorso è infondato. Il primo comma dell’art. 131-bis cod. pen. prevede l’esclusione della punibilità – nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena – quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. Devono pertanto ricorrere, congiuntamente e non alternativamente, due condizioni: la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento.

Quanto al primo requisito, è nozione ormai comune che sia necessaria una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado dì colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). La – pacifica – natura di reato di pericolo presunto, rivestita dalle contravvenzioni contestate al ricorrente, richiede pertanto una valutazione complessiva della condotta criminosa, sulla base degli elementi indicati dal primo comma dell’art. 133 cod. pen., correlata alla lesione potenziale del bene giuridico tutelato dalla norma penale, ossia la sicurezza sul lavoro, che prenda in esame tutte le peculiarità della fattispecie concreta in termini di possibile disvalore.
Nella specie non può ritenersi che la sanzione penale sia stata inflitta per una condotta formalmente inosservante, ma totalmente inoffensiva, in quanto nelle ripetute condotte riscontrate deve ritenersi contenuto un disvalore tale da concretizzare la messa in pericolo della sicurezza sul lavoro, quale bene finale tutelato dalle norme incriminatrici. Non può parlarsi, infatti, di infrazioni aventi natura esclusivamente formale, poiché sicuramente l’inosservanza delle prescrizioni determina situazioni intrinseche di rischio non marginali, essendo suscettibili di mettere in pericolo l’incolumità e la stessa vita dei lavoratori che si trovino ad operare in assenza dei necessari presidi di sicurezza.

Per quanto concerne, invece, il secondo requisito, è il medesimo art. 131-bis cod. pen., al comma terzo, che specifica quando il comportamento è abituale, ossia nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Non può così riconoscersi la causa di esclusione della punibilità qualora l’imputato abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio), poiché è la stessa previsione normativa a considerare il “fatto” nella sua dimensione “plurima”, secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l’eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola (Sez. 5, n. 26813 del 10/02/2016, Grosoli, Rv. 267262).
È proprio, quindi, l’art. 131-bis, comma terzo, cit., che non consente di applicare in specie la causa di non punibilità, atteso che esso esclude, tra l’altro, di poter riconoscere tale causa in favore di chi abbia commesso più reati della stessa indole, anche nell’ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità.
Deve, dunque, affermarsi che la speciale causa di cui all’art. 131-bis cit. non può essere applicata, ai sensi del terzo comma del predetto articolo, qualora l’imputato, anche se non gravato da precedenti penali specifici, abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio), anche nell’ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità (Sez. 3, n. 776 del 04/04/2017, Del Galdo, Rv. 271863).
Peraltro, l’identità dell’indole dei reati eventualmente commessi deve essere valutata dal giudice in relazione al caso esaminato, verificando se in concreto i reati presentino caratteri fondamentali comuni (Sez. 5, n. 53401 del 30/05/2018, M., Rv. 274186; Sez. 4, n. 27323 del 04/05/2017, Garbocci, Rv. 270107).
Correttamente, dunque, la Corte di Appello ha negato l’applicabilità dell’invocata norma, essendosi l’imputato reso responsabile di molteplici violazioni di norme riguardanti reati della stessa indole, in quanto lesivi del medesimo bene giuridico tutelato, ossia la sicurezza sul lavoro.

Fonte: Olympus.uniurb

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