Con la sentenza n. 24334 del 10 giugno 2014, la Cassazione ha affrontato la questione relativa al rispetto dei valori limite di emissione e di qualità dell’aria, non soltanto quando questi siano stati superati, ma anche quando l’espletamento di determinate attività può, anche potenzialmente, porre in pericolo la salute dell’ambiente.
Con la sentenza n. 24334 del 10 giugno 2014, la Cassazione ha affrontato la questione relativa al rispetto dei valori limite di emissione e di qualità dell’aria, non soltanto quando questi siano stati superati, ma anche quando l’espletamento di determinate attività può, anche potenzialmente, porre in pericolo la salute dell’ambiente.
Nello specifico la vicenda trae origine dalla condanna alla pena dell’ammenda inflitta in primo grado ai legali rappresentanti di una ditta di assemblaggio di motori marini per aver violato le disposizioni di cui all’art. 279, comma 2 d.lgs. 152 6, ovvero le prescrizioni contenute nell’autorizzazione provinciale e relative alle emissioni in atmosfera, in quanto risultavano sprovvisti dell’obbligatorio registro vidimato per l’annotazione dei consumi di prodotto verniciato.
Avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso.
La Corte di Cassazione, confermando quanto statuito in primo grado ha sostenuto che nella fattispecie in oggetto la contravvenzione in esame ha pacificamente natura di reato formale di pericolo.
Secondo la Suprema Corte, infatti, lo scopo del legislatore, come si deduce dal tenore complessivo dell’art. 279 è, non soltanto quello di assicurare il rispetto dei valori limite di emissione e di qualità dell’aria, ma anche quello di consentire alle autorità preposte, attraverso il rilascio del titolo abilitativo e l’imposizione di specifiche prescrizioni e di obblighi di comunicazione, un controllo adeguato finalizzato ad una efficace tutela dell’ambiente e della salute che l’espletamento di determinate attività può, anche potenzialmente, porre in pericolo.
Orbene, nel caso in esame sussiste l’omessa tenuta di un registro vidimato obbligatorio, richiesto dall’autorizzazione per l’annotazione dei consumi di prodotto verniciante al fine di poter valutare il rispetto dei limiti di consumo previsti dall’autorizzazione stessa.
A tal riguardo, la Cassazione ha affermato che lo scopo di tali annotazioni è quello di consentire, anche attraverso il confronto di dati diversi, un agevole controllo delle condizioni di operatività dell’impianto e, conseguentemente, il raggiungimento di quelle finalità di prevenzione e contenimento dell’inquinamento che la normativa di settore si prefigge.
Pertanto, la mancata istituzione del registro non può conseguentemente considerarsi quale mera inosservanza di una prescrizione formale del tutto priva di conseguenze, perché direttamente incidente sulle funzioni di controllo attribuite alta pubblica amministrazione.
La Corte ha, poi, concluso enunciando il seguente principio di diritto: secondo cui “il reato di cui all’art. 279, comma 2 d.lgs. 152 6, relativo all’inosservanza delle prescrizioni imposte con I’ autorizzazione alle emissioni in atmosfera, è reato formale e di pericolo che si perfeziona anche mediante comportamenti incidenti negativamente sul complesso sistema di autorizzazioni e controlli previsto dalla normativa di settore, che è comunque funzionale alla tutela dell’ambiente, la quale è assicurata anche attraverso la regolamentazione, il contenimento ed il monitoraggio di attività potenzialmente inquinanti.”
Per tali motivi il ricorso è stato giudicato infondato e, pertanto, rigettato.
Nello specifico la vicenda trae origine dalla condanna alla pena dell’ammenda inflitta in primo grado ai legali rappresentanti di una ditta di assemblaggio di motori marini per aver violato le disposizioni di cui all’art. 279, comma 2 d.lgs. 152 6, ovvero le prescrizioni contenute nell’autorizzazione provinciale e relative alle emissioni in atmosfera, in quanto risultavano sprovvisti dell’obbligatorio registro vidimato per l’annotazione dei consumi di prodotto verniciato.
Avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso.
La Corte di Cassazione, confermando quanto statuito in primo grado ha sostenuto che nella fattispecie in oggetto la contravvenzione in esame ha pacificamente natura di reato formale di pericolo.
Secondo la Suprema Corte, infatti, lo scopo del legislatore, come si deduce dal tenore complessivo dell’art. 279 è, non soltanto quello di assicurare il rispetto dei valori limite di emissione e di qualità dell’aria, ma anche quello di consentire alle autorità preposte, attraverso il rilascio del titolo abilitativo e l’imposizione di specifiche prescrizioni e di obblighi di comunicazione, un controllo adeguato finalizzato ad una efficace tutela dell’ambiente e della salute che l’espletamento di determinate attività può, anche potenzialmente, porre in pericolo.
Orbene, nel caso in esame sussiste l’omessa tenuta di un registro vidimato obbligatorio, richiesto dall’autorizzazione per l’annotazione dei consumi di prodotto verniciante al fine di poter valutare il rispetto dei limiti di consumo previsti dall’autorizzazione stessa.
A tal riguardo, la Cassazione ha affermato che lo scopo di tali annotazioni è quello di consentire, anche attraverso il confronto di dati diversi, un agevole controllo delle condizioni di operatività dell’impianto e, conseguentemente, il raggiungimento di quelle finalità di prevenzione e contenimento dell’inquinamento che la normativa di settore si prefigge.
Pertanto, la mancata istituzione del registro non può conseguentemente considerarsi quale mera inosservanza di una prescrizione formale del tutto priva di conseguenze, perché direttamente incidente sulle funzioni di controllo attribuite alta pubblica amministrazione.
La Corte ha, poi, concluso enunciando il seguente principio di diritto: secondo cui “il reato di cui all’art. 279, comma 2 d.lgs. 152 6, relativo all’inosservanza delle prescrizioni imposte con I’ autorizzazione alle emissioni in atmosfera, è reato formale e di pericolo che si perfeziona anche mediante comportamenti incidenti negativamente sul complesso sistema di autorizzazioni e controlli previsto dalla normativa di settore, che è comunque funzionale alla tutela dell’ambiente, la quale è assicurata anche attraverso la regolamentazione, il contenimento ed il monitoraggio di attività potenzialmente inquinanti.”
Per tali motivi il ricorso è stato giudicato infondato e, pertanto, rigettato.
Fonte: Corte di Cassazione
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