Cassazione Penale: valutazione delle patologie del lavoratore in relazione a eventuali violazioni di norme antinfortunistiche

Cassazione Penale, Sez. 4, 20 luglio 2023, n. 31508 – Necessario valutare la riferibilità delle patologie sofferte dal lavoratore all’eventuale intervenuta violazione di norme antinfortunistiche.

 

La Corte di appello, in riforma della pronuncia del G.U.P. del Tribunale, ha assolto il datore di lavoro e l’amministratore unico (datore di lavoro formale), dal reato loro ascritto perchè il fatto non sussiste.
In primo grado, invece, gli imputati erano stati ritenuti responsabili del delitto di cui all’art. 113 e art. 59 c.p., commi 1, 2 e 3, per avere in cooperazione colposa tra loro – uno in qualità di datore di lavoro dell’addetto alle macchine operatrici e titolare di un gruppo di imprese riconducibili alla sua persona, l’altra, moglie del primo, in qualità di datrice di lavoro formale del lavoratore e come amministratrice unica della ditta – per colpa generica e specifica, posta in essere in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ed in particolare del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, artt. 15, 18 e 71, cagionato al dipendente C.C., adibendolo per circa 33 anni ad attività di movimentazione manuale di carichi e nella costruzione di manufatti in cemento con l’utilizzo di attrezzature comportanti l’esposizione a vibrazioni interessanti tutto il corpo, nonostante il suo inquadramento non prevedesse lo svolgimento di tali mansioni e senza fornirgli la dotazione di sistemi di protezione individuale e ambientale, nonchè omettendo di adottare modelli organizzativi e modalità lavorative congrue e continuando a mantenerlo nelle medesime mansioni anche dopo l’accertamento di malattie professionali correlate.
La Corte di appello ha, in particolare, ribaltato la condanna del primo giudice conferendo una diversa valutazione alle acquisite dichiarazioni testimoniali nonchè alle risultanze scientifiche derivate dalle svolte consulenze tecniche, in particolar modo ritenendo che le patologie gravanti sul lavoratore, potessero avere un’eziologia multifattoriale, e dunque un’origine anche indipendente dalle mansioni lavorative espletate, in conclusione pervenendo a ritenere come l’insorgenza della malattia professionale tipica di alcune lavorazioni, quale quella svolta dalla persona offesa, non necessariamente dovesse essere correlata alla violazione di misure antinfortunistiche, da configurarsi solo in presenza di una prova rigorosa circa il mancato rispetto da parte del datore di lavoro dei presidi di sicurezza posti a tutela del lavoratore.
Tale specifico onere probatorio non sarebbe stato soddisfatto nel caso di specie, avendo la Corte territoriale evidenziato: la genericità delle dichiarazioni del lavoratore, in ordine alla vetustà dei macchinari utilizzati e alla mancata consegna dei dispositivi protettivi; la circostanza che i danni riportati dalla vittima fossero stati contenuti rispetto alla natura usurante dell’attività svolta per circa 33 anni; la natura interessata delle dichiarazioni rese dalla parte civile, avente sentimenti di acredine avverso gli imputati quale conseguenza del subito licenziamento, così da indurre la Corte di merito a ritenere tali propalazioni inaffidabili, anche considerato che la denunciata esistenza di inadeguate condizioni lavorative mal si concilierebbe con il ruolo di responsabile sindacale, posto a tutela delle condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro, ricoperto dal lavoratore.
Avverso la sentenza della Corte di appello è stato proposto ricorso per cassazione.

La motivazione della sentenza impugnata risulta oltremodo carente con riguardo alla valutazione della riferibilità delle patologie sofferte dal lavoratore all’eventuale intervenuta violazione di norme antinfortunistiche.
L’aver constatato come tali malattie possano avere un’eziologia multifattoriale, e dunque un’origine anche indipendente dalle mansioni lavorative effettivamente espletate, sembra avere indotto la Corte di merito ad escludere – ogni adeguato vaglio circa l’eventuale sussistenza del nesso causale tra le malattie sofferte dalla persona offesa e l’intervenuta violazione di misure antinfortunistiche.
Non è stato valutato, cioè, se vi sia stata la violazione da parte degli imputati del generico dovere del datore di lavoro di prevenire, mediante la valutazione del rischio e la predisposizione di adeguate misure organizzative, l’insorgere o l’aggravarsi di conseguenze patologiche per il lavoratore.
In nessun modo è stata considerata l’incidenza causale di aspetti, invece diffusamente evidenziati dalla parte civile, riguardanti: l’utilizzazione di macchinari vecchi e obsoleti, determinativi di intense e costanti vibrazioni, oltre che di una rumorosità eccessiva; l’imposizione di turni o di modalità lavorative particolarmente faticose; l’età del lavoratore; le generali condizioni di salute del lavoratore; la validità, o meno, delle terapie e cure effettivamente seguite nel tempo.
Soprattutto carente è la motivazione del secondo giudice laddove ha omesso completamente di affrontare il tema relativo alla violazione delle norme che prescrivono l’adozione di misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di opera, con particolare riferimento a quelle per cui si deve allontanare il lavoratore dall’esposizione ai rischi a seguito dell’accertamento di rilevanti patologie professionali.
Sussistono, pertanto, evidenti illogicità e carenze motivazionali nella sentenza impugnata, inerenti ad aspetti di decisivo rilievo ai fini della valutazione della sussistenza della condotta criminosa ascritta ai prevenuti, con conseguente necessità di effettuarne una nuova valutazione in sede di rinvio.
Ne consegue, in accoglimento del ricorso proposto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio.

Fonte: Olympus.uniurb

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