E’ mobbing anche se si colpisce con provvedimenti legittimi.

Con la Sentenza n. 28553/2009, la Sezione Sesta Penale, della Corte Suprema di Cassazione ha stabilito che il mobbing è tutelato anche in sede penale, in quanto la legittimità delle iniziative disciplinari adottate nei confronti dei dipendenti mobbizzati non esclude che la condotta vessatoria del datore di lavoro sia perseguibile come reato.

Con tale sentenza, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione confermando l’ordinanza interdittiva cautelare emessa dal Tribunale di Perugia nei confronti del direttore generale di un’azienda accusato di mobbing verso alcuni dipendenti.

Il Tribunale di Perugia, infatti, quale giudice di appello cautelare, aveva accolto l’appello del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Terni contro l’ordinanza con la quale il Gip del medesimo aveva rigettato la richiesta della misura cautelare dell’interdizione temporanea dall’esercizio dell’attività di direttore generale dell’azienda, di presidente di aziende private, municipalizzate o capitale misto, nei confronti del direttore generale di un’azienda accusato di condotta configurante mobbing in ambiente lavorativo in merito a fatti verificatisi presso l’azienda municipalizzata per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, consistente in una serie di attività messe in atto dai vertici aziendali dirette a conseguire l’acquiescenza dei lavoratori, in particolare presso il termovalorizzatore, alle carenze degli impianti di sicurezza e di prevenzione degli infortuni, sottoponendo i lavoratori a ripetuti provvedimenti di dequalificazione delle rispettive mansioni e a minacce di sanzioni disciplinari ingiustificate.

Per tale motivo il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Terni aveva contestato al direttore generale dell’azienda i reati continuati di maltrattamenti, abuso d’ufficio, lesioni personali, violenza privata ed omissione dolosa di cautele antinfortunistiche. Il Gip aveva però respinto per ben due volte l’istanza del Pubblico Ministero, e quest’ultimo aveva proposto appello al Tribunale di Perugina. Il Tribunale di Perugina aveva accolto l’appello del Pubblico Ministero applicando all’indagato la misura interdittiva del divieto di esercitare per due mesi l’attività l’attività di direttore generale e di presidente di aziende private, municipalizzate o a capitale misto.

Il Giudice dell’appello aveva infatti ritenuto sussistenti gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati ascritti di maltrattamenti, lesioni personali e violenza privata sulla base dei numerosi elementi probabatori raccolti nel corso dell’indagine, ravvisando inoltre la sussistenza di esigenze cautelari in relazione al pericolo di prosecuzione dell’attività criminosa e di inquinamento delle prove. Contro la Sentenza di appello l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo l’irrilevanza penale dei fatti, in quanto il direttore generale avrebbe applicato un corretta dello “jus corrigendi” che è riconosciuto anche al datore di lavoro, e quindi si sarebbe trattato di un atto dovuto.

La Suprema Corte, respingendo il ricorso e confermando la condanna, ha invece affermato che la condotta vessatoria integrante mobbing non è esclusa dalla legittimità delle iniziative disciplinari disciplinare assunte nei confronti dei dipendenti mobbizzati.

La Sentenza – come ha affermato Roberto Codini commentando la sentenza stessa – apre uno spiraglio importante nella tutela del mobbing, più volte configurato anche alla stessa Corte di Cassazione come oggetto di tutela solo in sede civile e non penale, delineando la possibilità che, in attesa di una legge in materia, la condotta mobbizzante possa essere considerata un vero e proprio reato.

(LG-FF)

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