Il 44°Rapporto Censis 2010 sulla situazione sociale del paese.

Venerdì 3 dicembre 2010, presso la Sede CNEL di Roma, è stato presentato il 44° Rapporto Censis 2010 sulla situazione sociale del paese. Il Rapporto prosegue l’analisi e l’interpretazione dei più significativi fenomeni economico-sociali del Paese, individuando i reali processi di trasformazione della società italiana. Su tali temi si soffermano le “Considerazioni generali” che introducono il Rapporto.

Il rapporto Censis mette in luce gli indicatori più evidenti di una società italiana che appare sempre più “appiattita e che stenta a ripartire”. “Crisi e globalizzazione hanno portato e portano disinvestimento dal lavoro, despecializzazione produttiva, risparmi stagnanti – ha rilevato il Presidente De Rita illustrando il Rapporto – ma il paese tiene grazie a intrecci virtuosi: welfare mix e reti di imprese”.

Gli italiani sono delusi dei propri politici che giudicano troppo litigiosi e inconcludenti, vivono in territori iperurbanizzati dove, soprattutto al Sud, è sempre più presente la criminalità organizzata e sono costretti a barcamenarsi fra spese alte (tariffe, multe, parcheggi e gabelle varie), budget bassi e la continua e sempre più pressante promozione dei consumi. Inoltre, sulle loro spalle ricade il peso del welfare: le famiglie si vedono costrette a caricarsi di compiti assistenziali, particolarmente gravosi per le situazioni più problematiche di non autosufficienza e assistenziali, di fatto sopperendo ai vuoti del sistema pubblico.Il Paese – ha ancora evidenziato il Prof. De Rita – ha lottato per resistere alla crisi seppure con “una evidente fatica del vivere e dolorose emarginazioni occupazionali.

E, fatti, oggi, sono “evidenti manifestazioni di fragilità sia personali che di massa”, per esempio “comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze medianiche, condannati al presente senza profondità di memoria e futuro”.
Il report sottolinea che “si sono appiattiti i nostri riferimenti alti e nobili (l’eredità risorgimentale, il laico primato dello Stato, la cultura del riformismo, la fede in uno sviluppo continuato e progressivo), soppiantati dalla delusione per gli esiti del primato del mercato, della verticalizzazione e personalizzazione del potere, del decisionismo di chi governa. E una società appiattita fra franare verso il basso anche il vigore dei soggetti presenti in essa”.

L’Italia, insomma, non riesce più a individuare un dispositivo di fondo (centrale o periferico, morale o giuridico) che disciplini comportamenti, atteggiamenti, valori. Si afferma così una “diffusa e inquietante regolazione pulsionale”, con comportamenti individuali all’impronta di un “egoismo autoreferenziale e narcisistico”: negli episodi violenza familiare, nel bullismo, nel gusto di compiere delitti comuni, nella tendenza a facili godimenti sessuali, nella ricerca di un eccesso di stimolazione esterna che supplisca al vuoto interiore, nel ricambio febbrile degli oggetti da acquisire e godere, nella ricerca di esperienze che sfidano la morte (per esempio il “balconig”).

Di fronte ai problemi e all’urgenza di adeguate politiche per rilanciare lo sviluppo “viene meno la fiducia” e “ancora più improbabile è che i possa contare sulle responsabilità della classe dirigente.

La tematica rigore-ripresa è ferma alle parole, la riflessione sullo sviluppo europeo è flebile, i tanti richiami ai temi all’ordine del giorno (scuola, occupazione, infrastrutture, legalità e Mezzogiorno) sono solo enunciati seriali”.
Il Censis aggiunge che “replicare il modello italiano, come abbiamo fatto negli ultimi anni, sarà anche un’utile arma per difenderci più o meno bene dalle crisi e dal declino interno, ma non garantisce ripresa reale”.

(LG-FF)

Fonte: CENSIS

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