Un focus INAIL presenta i dati sugli infortuni e le malattie professionali riferiti ai lavoratori stranieri che in Italia sono quasi 2,3 milioni, il 42% donne. Spesso tali lavoratori svolgono impieghi poco qualificati, con salari medi più bassi rispetto ai colleghi, e sono occupati in attività particolarmente pesanti che li espongono a maggiori rischi per la salute e la sicurezza.
Il nuovo numero del periodico Dati INAIL è dedicato all’analisi dell’andamento infortunistico e tecnopatico dei lavoratori stranieri, definizione che comprende tutti i lavoratori nati all’estero, inclusi i cittadini italiani e le persone di origine straniera che hanno acquisito la cittadinanza italiana. Il loro numero ammonta a quasi 2,3 milioni (gli italiani sono 20,3), per il 42% donne (circa 950mila), e la loro occupazione è caratterizzata da una scarsa mobilità tra i vari comparti: nazionalità e genere restano infatti gli stessi anche dopo molti anni di servizio, indipendentemente dal titolo di studio. Pur contribuendo in modo significativo al sistema produttivo nazionale, in molti casi si trovano in situazioni di irregolarità, incertezza e sfruttamento lavorativo. Le loro condizioni sono infatti mediamente peggiori rispetto a quelle degli italiani: svolgono lavori poco qualificati e con salari medi più bassi rispetto ai loro colleghi.
Spesso i lavoratori stranieri sono anche impiegati in attività particolarmente pesanti, di tipo manuale e ripetitive, che li espongono a rischi maggiori. Il 42,4% degli uomini, in particolare, è occupato nell’industria e nelle costruzioni, il 38,2% delle donne nei servizi domestici e di cura. Manovali, braccianti, camerieri, facchini, trasportatori, addetti alle pulizie sono le professioni più frequenti (63,8% degli stranieri in professioni non qualificate o operaie, contro il 31,7% degli italiani). Come evidenzia il Centro Studi e Ricerche Idos, tra loro è inoltre molto frequente il fenomeno della “sovra-qualificazione”, ovvero la condizione in cui una persona svolge un lavoro che richiede una preparazione intellettuale o tecnica inferiore a quella posseduta. Un terzo degli stranieri, infatti, ha un titolo di studio più alto rispetto al lavoro svolto, mentre tra gli italiani la stessa quota scende a meno di un quarto.
In controtendenza rispetto al calo complessivo dell’1,4%, nel 2021 le denunce di infortunio dei lavoratori stranieri sono aumentate del 3,1% rispetto all’anno precedente, da 99.545 a 102.658. Oltre il 78% ha riguardato i lavoratori non comunitari (+8,4% rispetto al 2017) e la quota rimanente quelli dell’Unione europea (-13%). Concentrando l’attenzione sui casi mortali, quelli denunciati complessivamente nel 2021 sono stati 1.400, in aumento del 18,5% sul 2017. L’incremento ha riguardato sia i lavoratori italiani (+201 casi, da 988 a 1.189) sia gli stranieri (+18, da 193 a 211). Rispetto ai 1.695 decessi denunciati nel 2020, però, il numero è in calo sia tra gli italiani (-263) sia tra gli stranieri (-32).
Prendendo in considerazione il quinquennio 2017-2021, emerge che gli infortuni denunciati dei nati all’estero, sia per il genere maschile che femminile, stanno ritornando ai livelli ante pandemia. Gli uomini, che nel 2020 avevano avuto una flessione del numero di denunce dovuto anche alla chiusura di molte attività produttive, con gli oltre 73mila casi del 2021 hanno infatti quasi raggiunto il dato del triennio precedente (75mila). Le donne, impiegate prevalentemente in alcuni settori come la sanità, l’assistenza e la cura delle persone, nel 2020 hanno invece registrato un incremento del numero di denunce a causa dei contagi da Covid-19 di origine professionale, mentre l’anno successivo, con poco più di 29mila denunce, sono tornate in linea con il triennio 2017-2019.
Oltre la metà delle denunce (53%) riguarda i lavoratori delle attività manifatturiere, della sanità, del trasporto e magazzinaggio e delle costruzioni, mentre le professioni più coinvolte sono quelle dei facchini, dei conduttori di mezzi pesanti, dei muratori in pietra e mattoni, del personale addetto all’imballaggio e al magazzino e dei manovali nell’edilizia civile, che complessivamente raggiungono un terzo del totale dei casi denunciati, percentuale nettamente più alta di quella che si riscontra per gli italiani occupati nelle stesse mansioni (12,6%). Tra le donne straniere, quasi la metà delle infortunate (47%) sono impiegate nell’ambito sanitario, nell’assistenza personale, nei servizi di pulizia ed esercizi commerciali e come collaboratrici domestiche. Le comunità più colpite sono quelle rumena, albanese e marocchina, con il 36% delle denunce del 2021.
Le patologie lavoro-correlate in aumento del 31,6%. Per quanto riguarda le malattie professionali, sul totale di oltre 55mila denunciate nel 2021 quelle dei lavoratori stranieri sono 4.136 casi, pari al 7,5% del totale e in aumento del 31,6% rispetto alle 3.142 dell’anno precedente. Due terzi (2.712) sono state denunciate da lavoratori di genere maschile e il 69% (2.852 casi) da lavoratori extra Ue, in particolare albanesi (655), marocchini (382) e svizzeri (330). La percentuale di incremento delle patologie denunciate dagli stranieri nel biennio 2020-2021 risulta più elevata per i non comunitari (+35,3%, da 2.108 a 2.852), rispetto a quella dei comunitari, che registrano un +24,2% (da 1.034 a 1.284). Tra i settori di attività economica, al netto dei casi indeterminati, il 37,3% dei casi dei lavoratori stranieri si concentra nel settore manifatturiero, soprattutto alimentare e della fabbricazione dei prodotti in metallo, e il 23,6% nelle costruzioni. La maggior parte delle denunce (77,7%) ha riguardato le malattie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, che insieme a quelle del sistema nervoso e dell’orecchio raggiungono complessivamente il 95,1% del totale, senza particolari differenze tra lavoratori comunitari ed extra Ue.
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Fonte: INAIL