Italia condannata perché non combatte le spadare.

Con Sentenza della Corte di Giustizia europea (Settima Sezione) del 29 ottobre 2009, l’Italia è stata condannata per aver violato le norme comunitarie che vietano la pesca con le reti da posta derivanti, le cosiddette spadare.

La Sentenza (vedi link) accoglie un ricorso della Commissione europea, sollecitata da numerose denunce che risalgono al 1992. I fatti contestati riguardano l’insufficiente attività di controllo e di repressione degli illeciti che va dal 1993 al 2005.

L’Unione europea ha definitivamente messo al bando le reti da posta derivanti dal 2002. Il loro utilizzo ha infatti conseguenze devastanti sulla conservazione delle specie marine. All’impoverimento dello stock ittico delle specie bersaglio (ad esempio sardine, aringhe, tonno,pesce spada) si somma la cattura indiscriminata di altre specie – anche protette – come tartarughe, cetacei e delfini. Gli Stati membri devono perciò garantire un’adeguata attività di controllo e pressione, sia a terra che nelle acque territoriali di loro competenza.

Secondo le norme europee è illegale anche la semplice detenzione di queste reti su qualsiasi tipo di imbarcazione.
Le numerose ispezioni condotte dalla Commissione hanno accertato che le ripetute e diffuse violazioni messe in atto dai pescherecci italiani potevano contare su un regime di sostanziale impunità. Le carenze si riconducono a due aspetti cruciali. In primo luogo una legislazione nazionale inadeguata, corretta tardivamente con la legge n. 101 del 2008.

La Sentenza della Corte ha in proposito confermato che nella normativa italiana non esistevano disposizioni che vietassero chiaramente la detenzione a bordo di reti da posta derivanti. Vi è poi il mancato coordinamento tra le quattro autorità preposte al controllo della pesca: Capitanerie di Porto (Guardia Costiera), Arma dei Carabinieri e Polizia di Stato. L’elenco minuto delle doglianze è assai nutrito: assenza di un programma di controllo, mancanza di tempo, di risorse umane e di mezzi, scarsa formazione del personale, basso tasso di denunce e sanzioni inadeguate a conseguire un effetto dissuasivo (dal 2003 al 2006 soltanto 1000 euro).

Dalla Sentenza emerge anche che l’Italia non ha fornito dati quantitativi sulla confisca delle reti vietate se non con riferimento agli anni 2005-2007. E’ soltanto a partire da questo periodo che la Commissione riconosce all’Italia un maggiore impegno nelle attività di controllo, di confisca e di pianificazione degli interventi. Le reti sequestrate in precedenza sarebbero state lasciate sotto la custodia degli stessi autori delle violazioni che, in alcuni casi, avevano già beneficiato degli aiuti statali per la riconversione del settore.

(LG-FF)

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