Italia, scarsa tutela per lavoratori di azienda in crisi trasferita.

La Corte di Giustizia europea con sentenza dell’11 giugno 2009 ha dichiarato che l’Italia non rispetta la direttiva europea del 2001 sulla tutela dei lavoratori in caso di trasferimento di un’azienda in stato di crisi.

I giudici europei hanno dunque accolto l’11 giugno il ricorso presentato dalla stessa Commissione europea contro la legge italiana del 1990. Inaccettabile per Bruxelles che i lavoratori perdano il riconoscimento della loro anzianità, del trattamento economico, delle qualifiche professionali, nonché iol diritto a prestazioni di vecchiaia derivanti dal regime di sicurezza sociale legale e il beneficio del mantenimento, per il periodo minimo di un anno, delle condizioni previste dal contratto di lavoro.

Il paradosso è che l’Italia non ha mai contestato che la legge 428 del 1990 privi di quelle garanzie i lavoratori trasferiti, ammessi al regime della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria in virtù dell’accertamento dello stato di crisi dell’impresa (legge 675/1977). Essa sostiene tuttavia che tale esclusione è conforme alla direttiva 2001/23/CE, che a suo avviso prevederebbe una garanzia facoltativa e consentirebbe espressamente di derogare alle garanzie obbligatorie.
La Corte europea,invece, avverte che il fatto che un’impresa sia dichiarata in situazione di crisi non può implicare necessariamente e sistematicamente variazioni sul piano dell’occupazione e le ragioni giustificative del licenziamento possono trovare applicazione, solamente in casi specifici di crisi aziendale.

Pertanto, lo stato di crisi aziendale non può necessariamente e sistematicamente rappresentare un motivo economico, tecnico o d’organizzazione che comporti variazioni sul piano dell’occupazione. Dunque, la possibilità di non applicare talune garanzie in caso in cui l’impresa sia oggetto di procedura di insolvenza (art. 5, comma 2, direttiva 2001/23) non è applicabile nel c aspo di specie, perché si riferisce ad una situazione diversa dalla situazione della crisi aziendale, che si colloca invece nella prospettiva di una ripresa, senza controllo giudiziario e senza sospensione dei pagamenti. La possibilità di modificare le condizioni di lavoro in caso di grave crisi economica (art. 5, n. 3 della direttiva 2001/23) non è applicabile nel caso di specie perché la legge n. 428/1990 priva puramente e semplicemente i lavoratori, in caso di trasferimento di un’impresa di cui sia stato accertato lo stato di crisi, delle garanzie previste dagli artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23 e non si limita, di conseguenza, ad una modifica delle condizioni di lavoro.

La conclusione dei giudici europei non lascia adito a dubbi: mantenendo in vigore alcune disposizioni della legge di cui si è palato l’Italia è venuta meno agli obblighi della direttiva 2001/23/CE. La direttiva, appunto, che consente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimento.

(LG-FF)

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