La misura dell’economia sommersa secondo l’ISTAT (anni 2000-2008).

In questa comunicazione del 13 luglio 2010, l’Istituto Nazionale di Statistica analizza il sommerso economico che deriva dall’attività di produzione di beni e servizi che, pur essendo legale, sfugge all’osservazione diretta in quanto connessa al fenomeno della frode fiscale e contributiva. Tale componente è già compresa nella stima del Pil e negli aggregati economici diffusi correntemente dall’ISTAT il 1° marzo di ogni anno.

In premessa l’Istat afferma che la conoscenza del fenomeno dell’economia sommersa è condizione necessaria per assicurare l’esaustività delle stime del prodotto interno lordo e misurarne l’impatto sulla crescita del sistema economico, ma anche per studiarne le implicazioni sul mercato del lavoro.

Le statistiche sul valore aggiunto attribuibile all’area dell’economia sommersa sono, quindi, accompagnate dalle stime sul lavoro non regolare che in Italia assume dimensioni consistenti, soprattutto in alcuni settori produttivi.

Nell’analizzare i principali risultati, l’ISTAT dichiara che nel 2008 il valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso economico è compreso tra un minimo di 255 e un massimo di 275 miliardi di euro. Il peso dell’economia sommersa è compreso tra il 16,3% e il 17,%5 del Pil (nel 2000 era tra 18,2 e 19,1 per cento).
Tra il 2000 e il 2008 l’ammontare del valore aggiunto sommerso registra una tendenziale flessione pur mostrando andamenti alterni: la quota del sommerso economico del Pil raggiunge il picco più alto (19,7 per cento) nel 2001, per poi decrescere fino al 2007 (17,2 per cento) e mostrare segni di ripresa nel 2008 (17,5 per cento).
Il fenomeno dell’economia sommersa – scrive l’Istat – è molto complesso e la sua dimensione può essere stimata analizzando i diversi comportamenti fraudolenti assunti dagli operatori economici per evadere il sistema fiscale e contributivo. La pratica dell’utilizzo di lavoro non regolare, ad esempio, è strettamente connessa al mancato versamento dei contributi sociali: nel 2008 erano circa 2 milioni e 598 mila unità di lavoro non regolari (aula). Questa componente, che rappresenta l’11,9 per cento dell’input di lavoro complessivo nel 2008, raggiunge il 12,2 per cento nel 2009.
Se le prestazioni lavorative sono non regolari, e quindi non direttamente osservabili, producono un reddito che non viene dichiarato dalle unità produttive che le impiegano. Nel 2008 l’incidenza del valore aggiunto prodotto dalle unità produttive che impiegano lavoro non regolare risulta pari al 6,5 per cento del Pil, in calo rispetto al 2000 quando ne rappresentava il 7,5 per cento.
Ma l’impiego di lavoro non regolare rappresenta soltanto una componente dell’economia sommersa. La parte più rilevante del fenomeno è costituita dalla sottodichirazione del fatturato e dal rigonfiamento dei costi impiegati nel processo di produzione del reddito. Nel 2008 l’incidenza del valore aggiunto non dichiarato dovuto alle suddette componenti raggiunge il 9,8 per cento del Pil (era il 10,6 per cento nel 2000).
A livello settoriale l’evasione fiscale e contributiva è più diffusa nei settori dell’Agricoltura e sei Servizi, ma è rilevante anche nell’Industria. Se si considera la sola economia di mercato, senza considerare, cioè, il valore aggiunto prodotto dai servizi non market forniti dalle Amministrazioni pubbliche, il sommerso nel 2008 rappresenta il 20,6 per cento del Pil, contro il 17,5 per cento calcolato per l’intera economia.

(LG-FF)

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