Lavori atipici: precari e poco protetti

Con questo titolo, Eurispes ha anticipato uno degli argomenti trattati in un’indagine condotta dall’istituto di studi politici e sociali nel periodo 25 novembre 2004-5 gennaio 2005 e che farà parte del Rapporto Italia 2005, presentato dal Presidente dell’Eurispes, prof. Gian Maria Fara, il 28 gennaio scorso a Roma presso la Sala Conferenze della Biblioteca Nazionale.

Il 28 gennaio scorso, nel presentare il Rapporto Italia 2005, il Presidente dell’Eurispes, Prof. Gian Maria Fara, ha anticipato il contenuto di una indagine condotta tra il 25 novembre e il 5 gennaio 2005 dallo stesso istituto di studi politici e sociali su un campione rappresentativo di 446 lavoratori atipici di età compresa tra i 18 e i 39 anni. L’indagine – di cui riportiamo una sintesi nel link -che è contenuta all’interno del Rapporto Italia 2005 rivela che il 61,7% degli uomini e il 62,8% delle donne tra i lavoratori intervistati affermano di aver sempre lavorato con contratti atipici. Hanno sempre lavorato con contratti atipici non solo la maggior parte (il 51, 3%) dei lavoratori più giovani (tra i 18 e i 25 anni) ma anche e soprattutto i lavoratori che hanno ormai raggiunto la piena maturità anagrafica: il 66,9% di quanti hanno un’età compresa tra i 26 e i 32 anni ed il 67,8% di quanti hanno tra i 33 e i 39 anni, per i quali l’atipicità ha assunto un carattere permanente. I dati rilettivi al titolo di studio rivelano, inoltre, come lo status di lavoratore atipico abbia sempre caratterizzato anche la maggior parte del segmento più qualificato dell’offerta di lavoro: il 55,9% degli intervistati in possesso di master o specializzazione post-laurea e l’83% dei laureati. La stragrande maggioranza del campione (l’89,7%) è celibe o nubile, appena il 6,5% è sposato, l’1,3% convive ed il 2,5% è divorziato o separato. Estremamente contenuta, tra i lavoratori atipici intervistati, la genitorialità appena il 6,5% ha uno (3,1%) o più figli (3,1%). Per la maggior parte degli intervistati, il lavoro flessibile non rappresenta, in definitiva, un’opportunità di primo inserimento lavorativo. Il Prof. Fara, nel commentare i risultati dell’indagine, ha dichiarato, fra l’altro, che “ negli ultimi anni la nostra classe dirigente politica ed imprenditoriale ha puntato solo ed esclusivamente sulla flessibilità e sulla riduzione del costo del lavoro come fattori-chiave per garantire una maggiore competitività all’impresa italiana, disinvestendo nella ricerca e nell’innovazione tecnologica, ovvero in quelli che, nei sistemi economici avanzati, dovrebbero rappresentare il vero motore dello sviluppo e della crescita. La flessibilità purtroppo- prosegue Fara- in Italia è stata interpretata soltanto come possibilità per l’imprenditore di modificare in qualsiasi momento le condizioni del rapporto di lavoro (e quindi anche la modalità di cessazione del rapporto di lavoro) con il proprio dipendente e non come strumento in grado di rendere flessibile l’organizzazione stessa del lavoro. Si è trattato di un approccio fallimentare e i risultati, dopo l’edificazione di un modello normativo tutto sommato coerente nei suoi principi ispiratori e nei suoi istituti giuridici, sono sotto gli occhi di tutti viste le performance negative del nostro sistema economico negli ultimi 4 anni “:

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