La Sentenza n.515 della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione che ha annullato una Sentenza della Corte di Appello di Ancona.
Il “mobbing” è divenuta ormai una seria materia anche nell’ambito del mondo giudiziario. Lo dimostra un caso significativo che è emerso dalla Sentenza n.515 del 15 gennaio 2004,emanata dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la quale ha rinviato alla Corte di Appello di Ancona una sentenza che rigettava il ricorso di una impiegata delle Poste Italiane,demansionata e che ” a seguito di varie vicende, caratterizzate da atteggiamenti asseritamente discriminatori e irriguardosi dei suoi diritti da parte dell’ ente datore di lavoro ,era venuta a trovarsi in una situazione di estremo disagio , che l’ aveva indotta a presentare la dichiarazione di dimissioni; che quando ciò era avvenuto -si legge nello svolgimento del processo – si trovava in una situazione di grave perturbamento psichico ( mobbing)e scoramento morale,tale da impedirle di adottare decisioni coerenti con la sua effettiva volontà; che l’ atto compiuto era per lei gravemente pregiudizievole , in quanto era venuta a trovarsi senza lavoro e senza aver maturato il diritto ad alcun trattamento pensionistico, pregiudizio aggravato dallo stato di disoccupazione dallo stato di disoccupazione del coniuge “. Ciò premesso, la lavoratrice conveniva in giudizio il datore di lavoro ( Poste Italiane) per sentir dichiarare l’ annullamento e l’inefficacia dell’ atto di dimissioni, con conseguente reintegro nel posto di lavoro e condanna della società Poste Italiane al pagamento in suo favore di tutte le somme dovute per retribuzioni non corrisposte fino alla data di riammissione al lavoro,oltre alla regolarizzazione contributiva. Con Sentenza , prima del Pretore di Ancona e successivamente della Corte di Appello di Ancona, il ricorso veniva rigettato. Avverso questa decisione,la lavoratrice è ricorsa alla Corte di Cassazione, denunciando la falsa applicazione dell’ art. 428 Cc nonché il vizio di motivazione contraddittoria ed insufficiente. La Corte di Cassazione, rinviando alla Corte di Appello la sentenza che rigettava il ricorso della lavoratrice, ha ribadito che dovevano essere valutate più attentamente le condizioni della lavoratrice stessa per rilevare la sussistenza di una incapacità ex 428 cc, anche se temporanea e desumibile da indizi e circostanze: difatti, perché sia ravvisabile una situazione di incapacità di intendere e di volere non è necessaria la totale esclusione della capacità psichica e volitiva del soggetto agente ,essendo sufficiente invece che questi, al compimento dell’ atto, si trovi in uno stato di turbamento psichico tale da impedirgli di apprezzare l’ importanza dell’ atto medesimo e di liberamente determinarsi al suo compimento.
Fonte: Ministero della Giustizia
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