OCSE, l’Italia non è un Paese per donne che lavorano

I dati dell’OCSE rivelano che l’Italia non è ancora un Paese per donne lavoratrici. Secondo uno studio che ha considerato diversi parametri, dall’accesso all’educazione superiore alla partecipazione alla forza lavoro, dagli stipendi alla maternità, il giudizio complessivo è negativo. Nella partecipazione al mercato del lavoro ai primi posti si trovano i paesi scandinavi, mentre l’Italia riporta un punteggio inferiore anche alla Grecia e a diversi stati dell’Est Europa.

L’Italia è sotto la media OCSE in quasi tutte le voci prese in esame, spicca solo l’aumento delle parlamentari. Troppo poche, invece, le quote rosa a livelli dirigenziali. Scarse tutele alla maternità e congedo paternità sconosciuto. L’impegno della ministra Madia: “Il governo sta cambiando rotta”.

I dati dell’OECD (OCSE) rielaborati dall’Economist mostrano come l’Italia sia uno dei peggiori paesi per una donna lavoratrice. Considerando diversi parametri, dall’accesso all’educazione superiore alla partecipazione alla forza lavoro, dagli stipendi alla maternità, il giudizio complessivo lascia poco spazio all’interpretazione.

In Italia le donne sono spesso costrette a scegliere tra famiglia e carriera e nonostante le promesse del governo, la strada resta in salita con un percorso lungo e complesso. Se sul fronte salariale la distanza tra uomini e donne si sta progressivamente accorciando, il problema resta la partecipazione al mercato del lavoro: gli ostacoli burocratici, il ridotto accesso all’istruzione superiore e le deboli tutele sul fronte di maternità e assistenza ai figli collocano l’Italia in fondo alla classifica dell’OCSE. A livello di Unione europea anche la Grecia fa meglio, mentre non stupisce che ai vertici ci siano sempre i paesi nordici.

La situazione migliora quando si analizza la presenza della donne all’interno dei consigli di amministrazione, anche perché una legge impone – a partire dal 2015 – che un terzo dei membri sia “rosa”. Il problema resta, piuttosto, a livello manageriale: le donne vengono promosse meno e con più difficoltà degli uomini e raramente occupano posizione di rilievo all’interno della struttura aziendale. D’altra parte il minor accesso alla formazioni superiore e le maggiori responsabilità sul fronte della cura dei figli (legate soprattutto alla deresponsabilizzazione degli uomini, a differenza di quanto avviene nei paesi nordici) si trasformano in un handicap.

In Italia il congedo obbligatorio di paternità è stato appena raddoppiato (da uno a due giorni), ma non abbastanza: la Penisola non compare neppure nella gradutoria dell’OCSE. L’Italia è però in buona compagnia, con tante economie avanzate. Eppure sono molti gli studi a spiegare come sia utile il ruolo degli uomini: quando prendono il congedo le donne tendono a tornare più facilmente – e serenamente – sul mercato del lavoro, l’occupazione femminile quindi sale e il salary gap si riduce.

L’Italia supera la media OCSE, invece, come numero di parlamentari donne. Un segnale che mostra una certa inversione di tendenza, ma che rischia di restare una primula rossa, se sul fronte del lavoro non arriveranno correttivi fondamentali e non più rinviabili all’alba del terzo millennio.

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