PE: nuovamente bocciata la liberalizzazione dei servizi portuali

Il 18 gennaio scorso, il Parlamento europeo ha respinto, per la seconda volta in due anni, e con una maggioranza schiacciante, una proposta della Commissione europea volta ad aprire i servizi portuali alla concorrenza. Il pacchetto servizi portuali, così come viene chiamato in ambito UE, ha dato adito a numerose polemiche, sia all’interno, sia all’esterno del Parlamento.

Secondo i sostenitori della proposta, la liberalizzazione dei servizi portuali può contribuire alla creazione di posti di lavoro e alla crescita. I contrari, dal canto loro, ritengono che la liberalizzazione dei servizi portuali sia sinonimo, invece, di perdita di posti di lavoro e di un peggioramento delle condizioni lavorative.
Alcuni deputati auspicavano una normativa sulla trasparenza e la concorrenza sana tra i porti. Altri, invece, hanno criticato il fatto che non sono stati presi in considerazione gli auspici del Parlamento sull’autoproduzione e sui servizi di pilotaggio espressi in occasione del primo pacchetto portuale.
A proporre la reiezione del progetto di direttiva sono stati i socialisti europei, i liberaldemocratici, i verdi , la sinistra unitaria e il gruppo indipendenza e democrazia. L’Aula ha accolto a larga maggioranza questa iniziativa con 532 voti favorevoli, 120 contrari e 25 astensioni. La Commissione, però, non sembra intenzionata a ritirare la proposta.
Ma quali sono esattamente i contenuti della proposta di questa tanto discussa direttiva? Ce lo spiega, in una breve nota apparsa sul sito web di Toscanaeuropa.it che si richiama all’europarlamentare Guido Sacconi. Si legge che la legislazione permetterebbe a chi offre servizi tecnico-nautici di effettuare attività di pilotaggio per imbarcazioni che entrano o escono dai porti, nonché servizi di ormeggio, rimorchio e manovra, fino ai servizi di assistenza ai passeggeri (incluso l’imbarco e lo sbarco).La proposta di direttiva della Commissione europea spera pertanto di modernizzare e rafforzare la competitività dei porti europei, i quali rappresentano l’approdo del 90% degli scambi tra l’Unione europea e i suoi partner esterni. E’necessario fare un piccolo passo indietro nella storia recente per comprendere appieno cosa è successo a Strasburgo. Il primo tentativo di liberalizzare questo settore fu fatto nel 2001. Il 20 novembre 2003, dopo intense negoziazioni fra tutte le parti coinvolte, il Parlamento respinse la proposta della Commissione.
Il nodo principale della proposta riguardava la possibilità offerta agli armatori di utilizzare il proprio equipaggio per caricare e scaricare le navi (chiamata autoproduzione in linguaggio tecnico).Numerosi gruppi politici, in particolare socialisti, verdi e gli eurodeputati della Sinistra unitaria europea, si sono opposti a questa misura. Essi hanno temuto che la proposta avrebbe aperto le porte a manodopera non sindacalizzata e a basso costo proveniente dal terzo mondo e che, nel corso della contrattazione, ciò avrebbe potuto portare, per giunta, alla perdita di numerosi posti di lavoro tra i lavoratori portuali specializzati. Inoltre, essa poneva una minaccia alla sicurezza: gli equipaggi delle navi, infatti, non sempre posseggono le competenze necessarie allo svolgimento di compiti che possono rivelarsi difficili e pericolosi. Di conseguenza, migliaia di lavoratori portuali sono scesi in piazza a Strasburgo per mostrare il loro dissenso nei confronti della proposta.
A seguito di questa sconfitta, la Commissione dovrà rielaborare la proposta. Essa, e in particolare la questione dell’autoproduzione, non ha incontrato i favori del Presidente del Parlamento e della grande maggioranza degli eurodeputati.
Nella nota che riportiamo nel link abbiamo una breve panoramica di come si sono espressi, durante la votazione, alcuni relatori.

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