Il “caso Pfas” in Veneto è scoppiato in Veneto nel 2013 a causa di una ricerca sperimentale condotta dal CNR e dal Ministero dell’Ambiente su potenziali inquinanti “emergenti”. Le analisi effettuate nel bacino del Po e nei principali fiumi italiani hanno segnalato la presenza di sostanze perfluoro alchiliche (PFAS) in acque sotterranee, superficiali e potabili. Arpa Veneto si è attivata prontamente nella regione, in particolare nella provincia di Vicenza dove era stata individuata dall’Agenzia una significativa area di contaminazione. L’intervento tempestivo ha permiesso alle autorità regionali di mettere in sicurezza l’acqua potabile della zona interessata, tramite l’utilizzo di filtri a carboni attivi.
Sul sito dell’Arpa Veneto sono disponibili gli aggiornamenti del monitoraggio condotto dall’Agenzia nella regione.
In una recente audizione davanti alle Commissioni emergenza e sicurezza interna del Senato USA la direttrice del National Institute of Environmental Health Sciences (NIEHS), una delle agenzie federali che più attivamente si è occupata di ricerche scientifiche legate all’inquinamento da PFAS, ha fatto il punto sugli studi condotti negli ultimi 30 anni negli Stati Uniti. Evidenziati i possibili effetti sulla salute umana: disturbi neurocomportamentali e cognitivi soprattutto in età pediatrica, disfunzioni del sistema immunitario, interferenze col sistema endocrino (obesità, infertilità e dismetabolismo dei lipidi) e cancro.
La Commissione europea ha chiesto all’EFSA una valutazione scientifica sui rischi per la salute umana legati alla presenza di PFAS negli alimenti. L’Autorità ha al momento rilasciato un primo parere scientifico riguardante i principali PFAS: perfluorottano sulfonato (PFOS) e acido perfluoroottanoico (PFOA). Le conclusioni dell’EFSA hanno quindi carattere provvisorio e verranno riviste durante il completamento della seconda parte dello studio, che si concentrerà sulla valutazione dei rimanenti PFAS e sui possibili rischi per la salute umana provenienti da queste sostanze.