Con la Sentenza n. 14302/2006, la Corte Suprema di Cassazione facendo seguito ad una precedente sentenza della Corte di Appello di Torino avente per oggetto laccertamento dellavvenuta adibizione di un lavoratore a lavori dequalificanti, ha ritenuto insufficiente il risarcimento stabilito in precedenza, disponendo un adeguata rivalutazione del danno da dequalificazione, del danno alla salute, del danno professionale e del danno biologico e morale cagionati dalla predetta dequalificazione.
Il dipendente che non è lasciato libero di esprimersi sul lavoro in base alle proprie capacità deve essere risarcito non solo per i danni professionali subiti ma anche per i danni morali. Lo ha stabilito la Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con Sentenza n. 14302/2006, depositata in Cancelleria il 26 giugno 2006, che ha giudicato insufficiente il risarcimento di 7.500 euro accordato in appello ad un impiegato torinese della FIAT che ra stato utilizzato dellazienda in mansioni non adeguate alla sua qualifica. Al dipendente infatti il giudice di merito aveva riconosciuto il danno professionale derivato dalle mansioni dequalificanti ma aveva negato il risarcimento del danno morale. La suprema Corte invece, accogliendo il ricorso del lavoratore, ha chiarito che il risarcimento del danno morale in favore del soggetto danneggiato per lesione del valore della persona umana costituzionalmente garantito prescinde dallaccertamento di un reato a suo danno, perchè limpossibilità di esprimersi nel lavoro in base alle proprie capacità aveva determinato un grave nocumento allesperienza, alla professionalità e alle attitudini proprie del lavoratore.
Fonte: Corte Suprema di Cassazione
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