Sentenza Corte Costituzionale sul D.Lgs. 66/2003: Organizzazione dell’Orario di Lavoro, tra limiti minimi e massimi

La sentenza della Corte Costituzionale del 4 giugno 2014 n. 153 si è pronunciata su un articolo del Decreto Legislativo n. 66 del 2003.

Con sentenza n. 153/2014 la Corte Costituzionale ha affrontato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 in relazione all’organizzazione dell’orario di lavoro sotto il profilo dei limiti minimi del riposo giornaliero e settimanale e quelli massimi del lavoro straordinario.
La Corte ha sul punto sostenuto che il sistema delineato dal d.lgs. n. 66 del 2003, pur in parte diverso da quello passato, presenta una definizione dei limiti di lavoro e delle relative violazioni omogenea rispetto a quella precedente. Il fatto, ad esempio, che gli artt. 1 e 5 del r.d.l. n. 692 del 1923 non contenessero una norma esplicita sulla durata dell’orario di lavoro settimanale, ma solo la previsione di un orario giornaliero normale e straordinario, dava conto anche, sia pure indirettamente, dell’orario settimanale; si può riconoscere che, prima dell’entrata in vigore dell’art. 7 del d.lgs. n. 66 del 2003, non c’era una norma esplicita sul riposo giornaliero, ma è altrettanto vero che lo stesso derivava (per sottrazione) dalla durata della giornata togliendo le ore massime di lavoro.
Sembra innegabile, in altre parole, che, nonostante le indubbie diversità, vi sia una sostanziale coincidenza nella logica di fondo che anima i due diversi sistemi: entrambi sanzionano l’eccesso di lavoro e lo sfruttamento del lavoratore che ne consegue, ponendo limiti all’orario di lavoro giornaliero e settimanale ed imponendo periodi di necessario riposo.
Ed è appena il caso di rilevare che, nel lungo tempo che separa la legislazione degli anni venti e trenta dello scorso secolo dall’intervento del legislatore del 2003, si colloca anche l’entrata in vigore della Costituzione, il cui art. 36 demanda alla legge ordinaria il compito di stabilire la durata massima della giornata lavorativa e riconosce al lavoratore il diritto al riposo settimanale ed alle ferie annuali retribuite. Ai fini, quindi, del rispetto dei criteri fissati nella legge delega, deve affermarsi che le sanzioni amministrative previste dal r.d.l. n. 692 del 1923 e dalla legge n. 370 del 1934 corrispondono a violazioni da ritenere omogenee rispetto a quelle regolate dal d.lgs. n. 66 del 2003 e che, pertanto, la normativa sanzionatoria oggi in esame era tenuta al rispetto della previsione della delega nel senso della necessaria identità rispetto alle sanzioni precedenti; le quali, come si è già detto, erano state ritoccate al rialzo dal d.lgs. n. 758 del 1994. Risulta in modo evidente, invece, proprio sulla base del confronto sopra compiuto, che le sanzioni amministrative di cui all’art. 18-bis del d.lgs. n. 66 del 2003 sono più alte di quelle irrogate nel sistema precedente; e, trattandosi di un’operazione di puro confronto aritmetico, non sussistono dubbi interpretativi.
Ne discende la fondatezza della questione di legittimità costituzionale, perché effettivamente sussiste la violazione del criterio direttivo contenuto nell’art. 2, comma 1, lettera c), della legge di delega n. 39 del 2002, sicché se ne impongono l’accoglimento e la conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale delle censurate disposizioni, per violazione dell’art. 76 Cost.
Per questi motivi la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), nel testo introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 19 luglio 2004, n. 213 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato sanzionatorio dell’orario di lavoro).

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