I giudici europei hanno ritenuto validi i motivi del ricorso presentato dalla Commissione europea.
L’Italia ha escluso a priori questi materiali dall ambito di applicazione della normativa nazionale sui rifiuti, svincolandoli di fatto dalle rigide disposizioni europee per la tutela della salute e dell ambiente.
In particolare, lo stoccaggio del CDR-Q negli impianti che lo utilizzano come combustibile per la produzione di energia elettrica nei termovalorizzatori, è sottoposto a misure precauzionali insufficienti che si limitano ad evitare la contaminazione dell aria, del suolo e dell acqua. La legge europea impone invece un più elevato livello di attenzioni che comprende la salvaguardia della fauna, della flora, del paesaggio e dei siti di particolare interesse, e vieta di causare inconvenienti provocati da rumori od odori. Tutto ciò vale anche per i rottami metallici ed ha un valore indipendente dalle modalità di trattamento e dalle certificazioni adottate nel processo che precede il loro riutilizzo. In breve, i rifiuti devono essere considerati tali fino al momento del loro riciclo, recupero o riutilizzo. La corretta nozione di recupero coincide quindi con il momento stesso in cui una certa sostanza tratta dai rifiuti svolge una funzione utile e può dirsi completa soltanto se ha l effetto di conferire al materiale in questione le medesime proprietà e caratteristiche di una materia prima e di renderlo utilizzabile nelle stesse condizioni di precauzione rispetto all ambiente.
Nel caso del CDR-Q cade innanzitutto l insostenibile obiezione di parte italiana di ritenerlo equivalente ad un vero e proprio combustibile fossile primario quanto a potere calorifico.
La sentenza ricorda tra l’altro che le modalità della sua combustione, previste in un decreto ministeriale del 2006, presentano rischi e pericoli specifici per la salute umana e l’ambiente, proprio in quanto derivati da residui di consumo e non da combustibili fossili.
(LG-PaRa)