Sentenza della Corte Costituzionale sul D.Lgs. 231/01: rapporto tra persona giuridica e fisica e diritti delle vittime del reato

La Corte Costituzionale, con la sentenza del 18 luglio 2014 n. 218, si è pronunciata su un giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale e del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, stabilendo che la persona giuridica e la persona fisica autore del reato non sono coimputati

Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato nell’ambito di un procedimento penale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, “questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale e «delle disposizioni integrali» del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231(Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300)”.

In particolare, ha sollevato il giudizio di costituzionalità in relazione a quelle norme “nella parte in cui «non prevedono espressamente e non permettono che le persone offese e vittime del reato non possano chiedere direttamente alle persone giuridiche ed agli enti il risarcimento in via civile e nel processo penale nei loro confronti dei danni subiti e di cui le stesse persone giuridiche e gli enti siano chiamati a rispondere per il comportamento dei loro dipendenti».”

Nella fattispecie, “nel corso dell’udienza preliminare, le persone offese avevano chiesto di costituirsi parti civili nei confronti di tali società e il giudice a quo, ritenendo che nel procedimento regolato dal d.lgs. n. 231 del 2001 non fosse consentita la costituzione di parte civile, aveva rimesso gli atti […] alla Corte di giustizia dell’Unione europea per una decisione sulla questione pregiudiziale relativa alla «compatibilità della normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche nel processo penale in relazione alla Direttiva Europea sulla tutela [delle] vittime da reato – art. 9 della Decisione Quadro n. 2001/220/GAI del 15 marzo 2001». La Corte di giustizia, con la decisione del 12 luglio 2012 (causa C-79/2011), aveva ritenuto «la compatibilità della disciplina italiana di cui al citato Dlgs con il Diritto Europeo…”.

Secondo la Corte Costituzionale “la questione è per più ragioni inammissibile”.
Tra le varie argomentazioni a sostegno dell’inammissibilità, la Corte cita la seguente: “è fondatamente contestabile che l’ente possa essere considerato coimputato dell’autore del reato. Infatti si è ritenuto che, nel sistema delineato dal d.lgs. n. 231 del 2001, l’illecito ascrivibile all’ente costituisca una fattispecie complessa e non si identifichi con il reato commesso dalla persona fisica (Cassazione, sezione sesta penale, 5 ottobre 2010, n. 2251/2011), il quale è solo uno degli elementi che formano l’illecito da cui deriva la responsabilità amministrativa, unitamente alla qualifica soggettiva della persona fisica”. Dunque, “se l’illecito di cui l’ente è chiamato a rispondere ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 non coincide con il reato, l’ente e l’autore di questo, non possono qualificarsi coimputati, essendo ad essi ascritti due illeciti strutturalmente diversi.
Sotto questo aspetto, quindi, la disposizione dell’art. 83, comma 1, cod. proc. pen., alla quale il giudice rimettente fa riferimento, non costituirebbe un impedimento alla citazione dell’ente come responsabile civile.”

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