SNPA, alcune riflessioni dopo la chiusura della COP26 di Glasgow

A pochi giorni dalla conclusione della COP26 di Glasgow sono diverse le interpretazioni sul suo esito, Marta Galvagno, esperta di ARPA Valle d’Aosta sul tema degli effetti dei cambiamenti climatici sui cicli del carbonio e dell’acqua e sulla fisiologia vegetale in ecosistemi alpini, propone alcune riflessioni riassumendo quanto è stato ottenuto e quanto invece non è stato portato a termine.

La 26a Conferenza internazionale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tenutasi a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre 2021, è stata un appuntamento importante, perché i Paesi avrebbero dovuto prendere decisioni fondamentali per rendere attivo l’Accordo di Parigi, firmato nel 2015 durante la COP21. Ma lo è stato anche per le voci di protesta messe in campo dai giovani attivisti a fronte dell’urgenza di agire subito per contrastare la crisi climatica, emersa dagli ultimi dati scientifici pubblicati dall’IPCC.

Per questi motivi, questa è stata anche la COP che ha ricevuto la maggior partecipazione (con quarantamila delegati) e la più alta attenzione mediatica di sempre. Ancor prima che la Conferenza si avvicinasse alle ultime fasi di negoziazione, molti media parlavano già di fallimento, nonostante la presenza di alcuni importanti punti avanzati nelle prime bozze di quello che è poi diventato il Glasgow Climate Pact. E in effetti, a poche ore di distanza dalla decisione finale, un ultimo “colpo di coda” ha ridimensionato l’ambizione cambiando i termini di uno dei punti fondamentali del documento, quello del phase-out (fuoriuscita) dal carbone sostituito con il termine phase-down (riduzione), generando un’inevitabile delusione collettiva, ben rappresentata dalle lacrime durante la sessione di chiusura del Presidente di COP26, Alok Sharma.

Sicuramente nelle prossime settimane arriveranno analisi lucide e dettagliate. Ma in questo momento è utile provare a distaccarsi da questa delusione finale, superando la dicotomia successo – fallimento, che tende necessariamente a far dimenticare i passi avanti che sono stati raggiunti durante questo enorme e complicato processo negoziale.

Quali sono stati allora i punti positivi e quelli controversi, o negativi, di questa COP26?
Punti positivi:
1. L’approvazione dell’obiettivo di contenere il riscaldamento entro 1.5°C rispetto al periodo preindustriale e della traiettoria per raggiungerlo, riducendo le emissioni di gas climalteranti del 45% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 2010). Come tutte le altre, questa decisione è stata presa all’unanimità, assumendo quindi un forte significato politico oltre che scientifico.
2. La definizione delle regole sulla trasparenza, elemento cruciale dell’Accordo di Parigi, che permette di monitorare e tracciare i progressi dei Paesi rispetto ai loro obiettivi climatici (NDC) in modo accurato e comparabile.
3. La definizione delle regole per l’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi relativo al mercato di scambio delle emissioni di CO2.
4. I paesi dovranno aumentare l’ambizione dei propri obiettivi dichiarati (NDC) entro un anno (e non entro 5 anni come precedentemente deciso).
5. L’impegno a raddoppiare le risorse finanziarie da mettere a disposizione per i processi di adattamento.
6. La maggior attenzione alla società civile, ai diritti umani e alla giustizia climatica.
7. Sono stati presi degli impegni multilaterali per azzerare e invertire la deforestazione e il degrado del suolo.
Punti controversi o negativi:
1. L’insieme di tutte le promesse climatiche formulate ad oggi dai Paesi, comprese quelle più incerte, ha portato il riscaldamento previsto a fine secolo da +2.7 a +1.8°C: un miglioramento importante, ma ancora lontano dall’obiettivo di +1.5°C. Per questo, si è deciso che i Paesi dovranno aumentare l’ambizione dei propri obiettivi dichiarati (NDC) entro un anno.
2. Nonostante per la prima volta nella storia delle COP si faccia riferimento diretto ai combustibili fossili, l’ambizione intorno all’abbandono del carbone e ai sussidi alle fonti fossili è stata annacquata nelle fasi finali del negoziato, portando ad una formulazione vaga e poco soddisfacente.
3. Finanza climatica: la COP26 termina purtroppo senza uno degli impegni più importanti ovvero il finanziamento di 100 miliardi di dollari che dovrebbero essere destinati dai Governi dei paesi ricchi a quelli in via di sviluppo.
4. Loss and damage: non è stato definito un impegno per destinare fondi per perdite e danni legati ai cambiamenti climatici ai paesi più vulnerabili.

La sintesi che si può pertanto delineare è che la COP26 ha sicuramente permesso di ottenere dei progressi nel lavoro, che ormai è urgentissimo portare avanti per rispettare il target di 1.5°C, ma è necessario essere consapevoli che questi passi, seppur significativi, non sono comunque sufficienti a raggiungere tale obiettivo.
Al tempo stesso, tutti possono lavorare a scala individuale, comunitaria, territoriale per dimostrare che è possibile ridurre le emissioni secondo la traiettoria richiesta (45% entro il 2030, equivalente a 7% in meno ogni anno).
È fondamentale allora continuare a riflettere su quello che non è stato portato a termine durante la COP26, senza per forza gridare al fallimento, ma mantenendo viva la motivazione, l’ambizione, e continuando a pretendere un maggiore sforzo per raggiungere gli obiettivi dichiarati.

Fonte: SNPA

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