WWF, l’impronta ecologica insostenibile delle nazioni mediterranee

Il recente studio “Come possono le società mediterranee prosperare in un’era di scarse risorse?” evidenzia che nessun paese mediterraneo soddisfa le due condizioni minime per uno sviluppo sostenibile globale: vivere nei limiti della disponibilità delle risorse di un solo Pianeta e soddisfare il benessere dei suoi abitanti.

Nessuna nazione mediterranea soddisfa le due condizioni minime per uno sviluppo sostenibile globale: vivere nei limiti della disponibilità delle risorse di un solo pianeta e soddisfare il benessere dei suoi abitanti. L’indicatore dell’impronta ecologica pro capite dei paesi mediterranei è infatti cresciuto dal 1961 al 2010 del 54%, mentre la biocapacità pro capite è declinata del 21%. Inoltre il 90% circa della popolazione mediterranea ha un livello di consumo ben al di sopra della biocapacità del pianeta. Al livello attuale della popolazione oggi presente sulla Terra, ogni persona dispone idealmente di 1,8 ettari globali di superficie produttiva (biocapacità): la gran parte dei paesi mediterranei, con esclusione della Palestina, del Marocco e della Siria, necessita invece di una biocapacità 1,5 volte più alta della media planetaria.

Questo in sintesi è quanto emerge dal recente studio “Come possono le società mediterranee prosperare in un’era di scarse risorse?” realizzato dal Global Footprint Network con il sostegno della fondazione MAVA e il supporto del Programma Mediterraneo del WWF. L’analisi dimostra come i paesi del Mediterraneo stiano utilizzando 2,5 volte più risorse rinnovabili di quanto ne possano produrre i loro ecosistemi. Dunque, il cibo, anche nel Mediterraneo, dimostra ancora una volta di essere una componente cruciale del nostro impatto sul pianeta.

Il deficit tra impronta ecologica e biocapacità disponibile registrato dagli analisti nell’area mediterranea è dovuto principalmente al progressivo esaurimento da parte degli ambienti boschivi e forestali delle capacità di assorbimento del carbonio emesso e dalla loro riduzione e anche dall’importazione di risorse come quelle alimentari ed energetiche al di fuori della regione mediterranea (il 30% dell’impronta).
Lo studio analizza in particolare l’impronta dovuta all’alimentazione e alle principali città e ai loro sistemi di trasporto. La quantità di ettari di superficie produttiva procapite necessari a sostenere i nostri consumi di cibo nel Mediterraneo è di circa 0,9 ha – con un range che va da 0,6 ha a 1,5 ha – ben più alta di quella di paesi come l’India (0,4 ha), la Cina (0,5ha), il Costarica (0,6ha) o addirittura la Germania (0,8ha).
Lo studio, mette in evidenza come l’aumento dell’impronta ecologica del cibo sia collegato nell’area mediterranea alla scarsità d’acqua, alla bassa produttività agricola, alla crescente dipendenza dal cibo importato ma anche dall’allontanamento dalla tradizionale dieta mediterranea, ecologica e salutare. Determinante infatti l’impatto sull’ambiente di diete ad alto valore proteico, ricche di carne e di derivati del latte.

E’ evidente che il cibo è un’esigenza primaria, tuttavia è strettamente connesso con gli stili di vita e le abitudini alimentari che possono variare positivamente o negativamente per la nostra salute e quella del pianeta. I cibi ad alto contenuto proteico come la carne e i latticini richiedono molta più biocapacità per essere prodotti di quanto non ne sia necessaria a produrre – con lo stesso importo calorico – il cibo derivante da prodotti vegetali.
E’ importante, infatti, ricordare che per produrre un chilo di carne bovina mediamente si utilizzano almeno 13 kg di mangimi e che per produrre lo stesso chilo ci vogliono almeno 15.000 litri di acqua e che allo stesso tempo una buona parte della deforestazione nei paesi tropicali è imputabile agli allevamenti.

Fonte: WWF

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